Dopo 59 giorni trascorsi nella cella di quattro metri per quattro nel Palazzo della Gendarmeria vaticana, Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo di Benedetto XVI, è tornato questa sera nella sua casa in Vaticano, riabbracciando così la moglie e i tre figli. All’uomo, 46 anni, arrestato il 23 maggio scorso per il furto di documenti riservati del Papa, dopo l’interrogatorio di oggi da parte del giudice istruttore Piero Antonio Bonnet è stato infatti concesso “il beneficio della libertà provvisoria”, nella forma degli arresti domiciliari. Il giudice ha così deciso “essendo venute meno – ha dichiarato il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi – le esigenze istruttorie per la permanenza dell’imputato in stato di arresto”, e comunque “previa prestazione di idonee garanzie”.
Gabriele quindi “risiederà nella sua abitazione, con la famiglia”, non potrà avere contatti con altre persone né comunicare con l’esterno. Qualsiasi visita dovrà essere autorizzata dal giudice. L’uomo potrà andare tutt’al più a messa, ma sempre accompagnato. I prossimi passi del procedimento, “attesi per i prossimi giorni”, ha detto sempre il portavoce vaticano, saranno la requisitoria del promotore di giustizia Nicola Picardi relativa all’accusa di furto aggravato, e quindi la sentenza di rinvio a giudizio o di proscioglimento da parte del giudice Bonnet, che dovrebbe quindi arrivare tra fine luglio e inizio di agosto.
Incontrando i giornalisti questo pomeriggio insieme ai difensori di Gabriele, avvocati Carlo Fusco e Cristiana Arru, Lombardi ha spiegato che il maggiordomo “é la persona indagata su cui ci saranno al requisitoria e la sentenza”: per la prima volta non ha quindi negato che ci siano altre persone sottoposte a indagine per la vicenda delle fughe di documenti. “Se i giudici avranno da dire altre cose, le diranno”, ha aggiunto.
Sono stati gli avvocati, che per la prima volta dall’inizio dell’inchiesta si presentavano ai giornalisti, a parlare dell'”ampia collaborazione” fornita da Gabriele “fin dai primi momenti” agli inquirenti e al giudice istruttore, “facendo chiarezza sugli atti che lo hanno coinvolto”. Hanno anche negato l’esistenza di “reti” di persone che abbiano aiutato il maggiordomo, o di “complotti esterni o interni al Vaticano che facciano riferimento a Paolo”. Nella sua azione – quindi sostanzialmente ammessa anche se i legali si sono appellati al segreto istruttorio – l’uomo sarebbe sempre stato “mosso dal desiderio di un atto di aiuto, di amore verso il Papa”. Alla base ci sono “motivazioni ideali, non di altro tipo”, comunque “di carattere interiore”, senza niente che sia “legato a motivi esterni”. Una “lettura” del movente potrebbe essere, secondo i legali, il desiderio di Gabriele – che peraltro continua a ricevere il suo stipendio – di “aiutare il Papa a fare pulizia nella Chiesa”. Un’altra quella di una persona “stressata”, “sotto pressione” per motivi legati al lavoro o alla famiglia e che “é portato a fare determinati atti, sicuramente discutibili”. Una vicenda “sconcertante nella sua semplicità”, l’hanno definita. Ed è pentito? “Il metodo poteva essere diverso”, hanno risposto gli avvocati, e di sicuro c’é l’intenzione di “chiedere il perdono del Papa”, per la “fiducia tradita”. In ogni caso, per il furto dei documenti, Gabriele non ha intascato soldi “né benefici personali indiretti”, hanno garantito i legali.
Gli avvocati hanno anche detto di essere “pronti ad affrontare il processo”, se ci sarà, non negando che l’ipotesi più probabile sia il rinvio a giudizio. L’eventuale pubblico dibattimento non si celebrerà prima dell’autunno, ma resta sempre la possibilità di un provvedimento papale di perdono. Tra l’altro, Benedetto XVI ha ricevuto in questi giorni a Castel Gandolfo il rapporto conclusivo della commissione cardinalizia presieduta dal card. Herranz e incaricata di fare luce sulla vicenda ‘Vatileaks’, che ha condotto oltre trenta audizioni. “Tutte e due le piste, quella penale e quella della Commissione cardinalizia, sono arrivate a dei risultati – ha osservato padre Lombardi -. Ci sarà modo per il Papa di valutare sia l’una che l’altra e di assumere le due decisioni”.ANSA