Suscita profondo sconcerto e forte preoccupazione la notizia della prossima distribuzione della pillola abortiva RU486 nei consultori familiari della Regione Lazio e delle motivazioni che si adducono per giustificarla.
Tale decisione veicola il messaggio dell’aborto facile in un contesto di finta umanizzazione e rappresenta un passo ulteriore nella diffusione di una cultura della chiusura all’accoglienza della vita umana e della deresponsabilizzazione etica.
La triste realtà è che i consultori sono ormai quasi privi di personale e molti versano in stato di abbandono. Essi sono ben lontani dall’offrire la dichiarata “assistenza multidisciplinare” e faticano ad assolvere al loro compito di sostegno, informazione e presa in carico della donna di fronte a una decisione sempre drammatica. Con questa scelta i consultori verranno ridotti a uffici di mera distribuzione di farmaci abortivi, acuendo nel loro personale le questioni relative all’obiezione di coscienza.
Tutto ciò nega nei fatti uno degli obiettivi della legge 194/78, quello della tutela sociale della maternità e della pianificazione di strategie di prevenzione che agiscano sulle cause culturali, economiche e psicologiche del ricorso all’aborto. Strategie che proprio nei consultori dovrebbero trovare un luogo elettivo di realizzazione.
Di non minor rilevanza sono i rischi sanitari e la mortalità connessi all’utilizzo della pillola abortiva, notevolmente superiori a quello dell’aborto con procedura chirurgica. La stessa legge 194, nell’art. 8, prevede che l’aborto avvenga in regime di ricovero a tutela della salute della donna.
Il ricovero ospedaliero dunque non è un “fatto ideologico”, ma è necessario per la sicurezza della donna. Piuttosto, è ideologico spacciare come “riorganizzazione della rete sanitaria della Regione Lazio” l’introduzione della RU486 nei consultori, distraendo l’attenzione mediatica dalle reali priorità della sanità laziale quali l’assistenza domiciliare che non decolla, i pronto soccorso intasati, le infinite liste di attesa, la mancata presa in carico degli anziani e dei disabili.
L’aborto rappresenta sempre una sconfitta per tutti, e nella solitudine delle pareti domestiche questa esperienza, che viene propagandata come facile e sicura, diventa ancor più devastante e dolorosa. Chiediamo perciò alle autorità regionali di riconsiderare tale decisione che avrebbe come vero risultato, da una parte, apportare un ulteriore danno alla percezione del valore della vita umana come bene comune e, dall’altra, lasciare una volta di più la donna sola ad affrontare il dramma dell’aborto.
Fonte Claudio Tanturri, Ufficio stampa Vicariato di Roma