L’attuale manovra economico-finanziaria approvata dal nuovo Governo torna a prevedere l’istituzione dell’Ici, l’imposta comunale sugli immobili. La materia genera da sempre attenzioni e discussioni non tanto per il modo in cui colpisce i possessori di immobili, ma soprattutto per le categorie che ne sono esentate. Un tentativo di ricostruzione del quadro legislativo può aiutare a rendere più chiara la disciplina del settore e sgombrare il campo da critiche strumentali.
L’esenzione dall’Ici prevista dalla legge nazionale riguarda tutti gli immobili utilizzati da un “ente non commerciale” e destinati “esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985. n. 222” [le attività di religione o di culto] (art. 7, c. 1, lett. i, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504).
La disposizione appena richiamata richiede il verificarsi di due condizioni: gli immobili sono esenti solo se utilizzati da enti non commerciali e se destinati totalmente all’esercizio esclusivo di una o più tra le attività individuate; inoltre, come stabilito dopo le modifiche apportate al testo originario del 1992, l’esenzione “si intende applicabile alle attività […] che non abbiano esclusivamente natura commerciale”. (art. 7, comma 2-bis del D.L.. n. 203/2005, come riformulato dall’art. 39 del D.L. 223/2006). In questo senso, il legislatore del 2006 ha adeguato la disciplina al dettato della Corte di Cassazione del 2004 che, pronunciandosi su un immobile di un istituto religioso destinato a casa di cura e pensionato per studentesse, aveva fornito una interpretazione non prevista dalla legge: per avere diritto all’esenzione gli immobili non devono essere destinati allo svolgimento di “attività oggettivamente commerciale”.
Presso il ministero dell’Economia e delle Finanze è stata poi istituita una commissione con il compito di individuare le modalità di esercizio delle attività che, escludendo una loro connotazione commerciale e lucrativa, consentisse di identificare gli elementi della “non esclusiva commercialità”. Alla luce della nuova interpretazione e della maggiore definizione dei limiti grazie alla commissione appositamente istituita, la Commissione europea chiuse una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia con esclusione di ogni “aiuto di Stato”. Successivamente, ne fu aperta un’altra, sempre sulla stessa linea, ma anche questa chiusa per chiara infondatezza. Nel mese di ottobre di quest’anno, però, il Commissario europeo per la concorrenza, nonostante le due archiviazioni precedenti, ha riaperto una ennesima procedura di infrazione.
Tornando al quadro legislativo nazionale, comunque, si può affermare che esiste un’esenzione che riguarda tutto il mondo no profit ed è circoscritta ad attività ben definite dalla legge. Al di fuori di queste attività, anche gli enti non commerciali pagano l’Ici.
A quest’ultimo riguardo, appare rilevante soffermarsi sul significato di “commerciale”, che non vuol dire “a fine di lucro”. Ed è su questo termine che si gioca il grande equivoco. Da un punto di vista tecnico, infatti, “commerciale” è tutto ciò che chiede un corrispettivo a fronte di un servizio, quale è ad esempio una retta per la frequenza della scuola materna. Ma questo tipo di attività rientra giustamente nell’esenzione perché è tra le categorie previste dalla legge. Quindi, per questo genere di attività commerciali la Chiesa – come tutti gli altri enti no profit – non deve pagare l’Ici.
La tassa sugli immobili viene pagata invece per altri tipi di attività commerciali, come ad esempio quella alberghiera. Ma anche qui bisogna fare dei distinguo: un pensionato per studenti fuori sede o per l’ospitalità di parenti di malati ricoverati in ospedali lontani dalla residenza, non è assimilabile a un albergo. È invece una struttura ricettiva complementare, di carattere sociale, che rientra nelle attività suddette.
Inoltre, per usufruire dell’esenzione tutto l’immobile deve essere utilizzato per lo svolgimento dell’attività esente; se in un’unità immobiliare si svolge un’attività rientrante nell’elenco suddetto unitamente ad un’attività che, invece, non vi figura, tutto l’immobile perde l’esenzione.