Un invito a ripartire dallo stupore di fronte all’amore di Cristo. É quello levato dal Papa, dall’altare della Cattedra nella Basilica Vaticana, durante la celebrazione della commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme con cui si apre la Settimana Santa, un tempo in cui la liturgia ci accompagna dalla gioia di accogliere Gesù che entra nella Città Santa su un mite puledro al dolore di vederlo condannato:
Ripartiamo dallo stupore; guardiamo il Crocifisso e diciamogli: “Signore, quanto mi ami! Quanto sono prezioso per Te!”. Lasciamoci stupire da Gesù per tornare a vivere, perché la grandezza della vita non sta nell’avere e nell’affermarsi, ma nello scoprirsi amati. Questa è la grandezza della vita: scoprirsi amati. E la grandezza della vita è proprio nella bellezza dell’amore. Nel Crocifisso vediamo Dio umiliato, l’Onnipotente ridotto a uno scarto. E con la grazia dello stupore capiamo che accogliendo chi è scartato, avvicinando chi è umiliato dalla vita, amiamo Gesù: perché Lui è negli ultimi, nei rifiutati, in coloro che la nostra cultura farisaica condanna.
La forza disarmante dell’amore
Icona dello stupore è il Centurione. Sotto la croce il soldato romano, vedendo morire Gesù che “stremato, continuava ad amare”, fa la sua professione di fede: “Davvero era Figlio di Dio”. La vittoria di Dio è nella croce, delude chi seguiva “un immagine di Messia che non è il Messia”, chi aspettava la sconfitta dei romani attraverso la spada; stupisce perché Dio si svela e regna solo con la forza disarmata e disarmante dell’amore, e lo stupore è diverso dall’ammirazione del mondo:
Anche oggi tanti ammirano Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia… Lo ammirano, ma la loro vita non cambia. Perché ammirare Gesù non basta. Occorre seguirlo sulla sua via, lasciarsi mettere in discussione da Lui: passare dall’ammirazione allo stupore.
Un trono per patibolo
Stupisce vedere l’Onnipotente ridotto a niente, vedere il re dei re che ha per trono un patibolo, passare dall’osannare Gesù al gridare crocifiggilo. Ma perché – chiede il Papa – tutta questa umiliazione? “Per toccare fino in fondo la nostra realtà umana, non lasciarci soli, per salvarci. Gesù sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma”. Occorre allora lasciarsi commuovere dall’amore di Dio, scuotere una fede “logorata dall’abitudine, una nostra vita paralizzata da rimpianti e insoddisfazioni, aprirsi allo Spirito e chiedere a Lui la grazia dello stupore:
Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più. E ora sappiamo di non essere soli: Dio è con noi in ogni ferita, in ogni paura: nessun male, nessun peccato ha l’ultima parola. Dio vince, ma la palma della vittoria passa per il legno della croce. Perciò le palme e la croce stanno insieme.
Fonte Vatican News Paolo Ondarza – Città del Vaticano