A Cura di Alessandro Corneli
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C’è molta più filosofia e teologia nell’omelia pronunciata da Papa Francesco il 19 marzo, in occasione della sua intronizzazione, di quanto sia apparso a un ascolto superficiale.
La parola-chiave del suo intervento è custodire, declinata e coniugata in vario modo 33 volte. Ma l’aveva lanciata a conclusione dell’Angelus del 17 marzo con l’invocazione “Che la Madonna vi custodisca” e ne ha fatto la pietra angolare della sua prima omelia assumendo la missione petrina.
Custodire che cosa? La risposta è: il creato. Perché “creato” rimanda a “creatore”, cioè Dio. Ha usato la parola “ambiente” due volte e la parola “mondo” una sola volta ma in un contesto negativo quando ha detto: “non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”. Perché non è “nostro” e solo se lo intendiamo come “nostro” lo disseminiamo di distruzione e di morte. Invece “siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente”.
Il termine “mondo” rinvia al greco kosmos e al mundus latino che non implicano il concetto di creazione, ignoto alla filosofia classica. Quindi il discorso riafferma la trascendenza e nega radicalmente il panteismo e un ambientalismo puramente naturalistico.
Agli uomini e alle donne – questa la formula ripetuta dal Papa – è assegnato il compito di custodire se stessi, cioè i valori di cui sono portatori in quanto creature privilegiate, di custodire il resto del creato e la parola di Dio. Il richiamo al libro della Genesi, dove è formulato il concetto di creazione, è il richiamo al principio fondamentale della distinzione tra il Creatore e il creato. Questo è l’atto di fede su cui tutto il resto di fonda e si costruisce. La Chiesa custodisce questa fede. Senza passare attraverso fasi intermedie, Papa Francesco è arrivato all’estremo opposto: il 14 marzo nell’omelia nella Cappella Sistina di fronte ai cardinali, aveva detto: “se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore”.
Il punto fermo del Creato che rinvia al Creatore è la negazione del nichilismo: questo è il legame filosofico più profondo con Benedetto XVI. È l’incipit del Credo o professione di fede: “Credo in Dio padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”. Tutto discende dall’accettazione (confessione) di questo primo articolo di fede o dalla sua ripulsa.
Se si accetta, nessuno è “padrone” del mondo, ma neanche co-padrone: è “custode”. Nel senso più ampio e in tutte le direzioni. Dice il Papa: “La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”.
Questa ampiezza della sfera del custodire costituisce il legame tra filosofia e prassi perché “custodire” è attività e non sola contemplazione, è sintesi tra l’attivismo della tradizione gesuitica e della tradizione francescana, è un esser nel mondo e non fuori dal mondo, e soprattutto non è disprezzo del mondo, pauperismo fine a se stesso. Anzi, è un invito a valorizzare la ricchezza del creato allorché “custodire” assume il significato opposto di “distruggere”.
Ci sarà tempo per approfondire i significati del nuovo pontificato anche se Papa Francesco non sembra uno che sia disposto a tollerare i perditempo o i falsi custodi dell’immobilismo.