La determinata drammatica scelta di porre fine alla propria vita, da parte del politico Lucio Magri, fondatore del quotidiano “Il Manifesto”, conosciuto ed apprezzato per le caparbie battaglie sociali combattute sempre, con grande coerenza, tanto da porsi in conflitto persino con il proprio partito comunista da cui fu scomunicato, se può essere umanamente compresa per lo stato di forte depressione intervenuta a seguito della morte della moglie, impone, invece, nei confronti della società svizzera demandata all’agghiacciante compito del suicidio assistito, la condanna più tassativa e categorica per aver acceduto alla richiesta solo per mero lucro e non per carità, all’agghiacciante nuova ferale attività imprenditoriale.
La richiesta di morte proveniva, difatti, da un uomo anziano, disperato e solo, deciso a porre fine alla propria esistenza, senza che fosse affetto da alcuna malattia, né soggetto a sofferenze indicibili del corpo, anche se quelle psicologiche sofferte potevano essere devastanti, ma sicuramente attualmente curabili se volutamente comprese.
Cio’ che allora, avvilisce, è che nessuno ha avuto la pietà di comprenderne la disperazione, di ricordargli come le sue scelte ideologiche di vera libertà fossero ancora un patrimonio da far recepire alle nuove generazioni, per migliorare questa società in cui aveva creduto e per la quale si era sempre battuto, perchè così facendo forse si sarebbe riusciti a reinserirlo nella vita, liberandolo dalla disperata richiesta di morte, per un falso concetto di orrenda eutanasia che, crudelmente accettata, non ha avuto altro risultato che quello di rimpinguare un bilancio societario.
Sarebbe bello, allora, ricordare Lucio Magri ancora come quel ragazzo ribelle, intollerante delle ingiustizie, censore severo per l’ acquiescenza del partito silenzioso nella condanna dei carri armati a Praga, per spezzare la libertà, ed ancora, come sempre, romantico e caparbio nelle scelte, persino con la morte, affrontata per disperata solitudine, alleviata nel gesto insano, dalla speranza di poter raggiungere e riabbracciare nei campi elisi la propria moglie, tanto amata e non, come si è detto, non nobilitandolo, per suggellare un falso diritto di libertà del singolo.
Giovanni Borrelli