Quello dei rifugiati è un dramma che i siriani ha vissuto prima come popolo ospitante (durante e dopo la guerra in Iraq del 2003), poi come popolo in fuga. Al fenomeno dei rifugiati lungo le rotte mediterranee ed europee si aggiunge quello, non meno allarmante, degli sfollati interni.
Monsignor Jacques Hindo, arcivescovo siro-cattolico dell’Eparchia di Hassaké-Nisibi, è uno dei testimoni del cambiamento repentino e traumatico vissuto nella sua diocesi e nel suo paese, raccontato al pubblico del meeting Pellegrini nel Cyberspazio, conclusosi oggi a Grottammare, nel corso di una tavola rotonda, moderata da Marta Petrosillo, portavoce di Aiuto alla Chiesa che Soffre Italia.
La vera identità dell’Islam è stato il primo dei temi affrontati dal presule, che ha voluto evidentemente smentire una serie di luoghi comuni in merito. Non esiste, innanzitutto, un “Islam moderato”, casomai, c’è un “Islam dormiente”. Di conseguenza, non può sussistere un “dialogo” che ammetta la “sottomissione” di una religione sull’altra.
Nell’intento di combattere tutte le idolatrie, i politeismi e i paganesimi del suo tempo, Maometto, nel transito dalla Mecca a Medina, mutò i contenuti programmatici della sua religione – inizialmente pacifica – in chiave di conquista dei popoli “infedeli”, ai quali rimaneva – e ancora sostanzialmente rimane – la quadruplice alternativa: emigrare forzatamente dai territori islamici; pagare il tributo di sottomissione (dhimmi); convertirsi; perire sotto i colpi di spada dei fedeli di Allah. “Soltanto quando l’Islam rinnegheranno tutto questo, sarà possibile dialogare”, ha commentato Hindo.
Nello scenario attuale mediorientale, persistono ulteriori variabili che complicano ulteriormente il quadro. A partire dalla divisione tra le varie minoranze cristiane – cattoliche e ortodosse – tra loro scarsamente collaborative, nonostante tutti gli sforzi ecumenici dei vari vertici ecclesiali e le numerose settimane per l’unità dei cristiani.
Eppure, come ha recentemente riconosciuto anche uno sceicco, confidandosi con il vescovo di Hassaké, i cristiani hanno trasformato parte di quelle terre “da deserto a giardino”. “Senza di loro – avrebbe detto lo sceicco – staremmo ancora a cibarci solamente di datteri e latte di capra…”.
Dopo lo scoppio del conflitto, ha proseguito monsignor Hindo, la Siria ha pagato un prezzo più alto di ogni possibile immaginazione, con la confluenza dei combattenti jihadisti di tutte le denominazioni (Nusra, Daesh, Al-Qaeda), molti dei quali giunti dalla Turchia, con la complicità degli Usa, dell’Arabia Saudita e di stati del Golfo, come il Qatar.
Monsignor Hindo ha ricordato che l’emergenza nella sua diocesi e nel suo paese è anche e soprattutto alimentare: oggi molte famiglie sopravvivono con pane e tè, a colazione, pranzo e cena. Tè amaro, perché il prezzo dello zucchero è salito in cinque anni, da 150 a 1200 lire siriane al chilo.
“Una sera, una donna è venuta a baciarmi le scarpe – ha raccontato l’arcivescovo – dicendomi che finalmente i suoi figli, dopo mesi, avevano mangiato pane e pomodoro”.
In questi anni, monsignor Hindo ha accolto migliaia e migliaia di sfollati interni, cristiani e non solo. “Non sarei vescovo e nemmeno cristiano se facessi preferenze in base alla religione – ha detto -. Quando ci sono persone in fuga da accogliere… persino Gesù può aspettare”.
Quando però l’arcivescovo ha rincuorato la sua gente, parlando del “Dio crocefisso, nel quale c’è la luce della resurrezione”, sono seguiti “sette minuti di applausi: hanno sentito tutta la speranza che c’è”.
In conclusione, il presule ha lanciato un appello ai fedeli italiani: “Se volete aiutarci, aiutateci nel nostro paese, aiutateci a ricostruire tutto, non solo da un punto di vista materiale ma anche spirituale e culturale. Oggi come ieri abbiamo bisogno del vostro amore. Quando ho detto che venivo qui, i miei fedeli mi hanno detto di chiedervi di pregare per noi”.
A colloquio con i giornalisti, Hindo ha lanciato un appello all’Europa perché “ritorni se stessa” e “alle sue radici”, affinché gli europei vivano la “libertà” e la “democrazia” ereditate dalla rivoluzione francese e lascino che anche i popoli mediorientali vivano la loro libertà e la loro democrazia.
L’arcivescovo ha anche lamentato un atteggiamento ricorrente negli europei – riscontrato anche nel pianto del commissario europeo agli Esteri, Federica Mogherini, per l’attentato di Bruxelles – sensibili ai loro morti ma non alle vittime del terrorismo in Medio Oriente: “per loro nessuno ha parlato, né pianto…”.
Tutto il mondo oggi, ha denunciato Hindo, è “contro la Siria”, perché tale paese è centrale nello scacchiere mediorientale, ma la Siria è un “osso duro”.
Sollecitato da una domanda di Zenit, sui gesti concreti di accoglienza ai profughi mediorientali da parte di papa Francesco, monsignor Hindo ha detto: “Quando il Santo Padre ha chiesto alle parrocchie europee di accogliere i profughi, non potevamo aspettarci una cosa più umana”.
Il vero obiettivo, tuttavia, ha aggiunto il presule, richiamandosi anche a quanto detto dallo stesso Bergoglio, è fare in modo che i siriani non debbano essere costretti a fuggire dal loro paese.
Iniziative del Papa come quella di portare con sé a Roma famiglie di profughi incontrate a Lesbo, secondo Hindo, sono “gesti bellissimi”, non programmati ma sorti sul momento dalla spontanea volontà del Santo Padre; il fatto che tutte e tre le famiglie, in quell’occasione, fossero musulmane, è un dato secondario, ha commentato: “quando si fa un gesto d’amore, non si fanno troppi conti…”.
Fonte Zenit.org