a cura della Redazione de ILVATICANESE.IT/
Un richiamo al diritto alla vita, quale fondamento dei diritti umani, e un appello all’Onu perché promuova e tuteli sempre di più la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. E’ quanto si legge nell’intervento pronunciato dall’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, mons. Bernardito Auza, in occasione della 70.ma sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dedicata alla promozione e alla protezione dei diritti umani.
Occorre rinnovare il quadro dei diritti umani ponendo a fondamento di essi il diritto alla vita, quello che il Papa ha definito diritto all’esistenza stessa della natura umana. In tutto il mondo, infatti, tale diritto continua ad essere messo in discussione, ignorato e persino disprezzato, come dimostrano le situazioni terribili cui sono ridotti i più poveri e i più vulnerabili, i nascituri, gli anziani, i disabili, le vittime della guerra e della tratta, i migranti e i rifugiati. E questa spinta al rinnovamento, afferma mons. Auza, deve partire dalla società e dall’inclusione nel concetto di bene comune della tutela e della promozione del diritto alla vita per tutti, che significa non solo protezione giuridico-politica della vita, dal concepimento fino alla morte naturale, ma anche protezione dell’ambiente e dei bisogni essenziali delle persone come il cibo, l’alloggio, il lavoro, la salute e l’educazione. E’ sbagliato a livello internazionale, sottolinea mons. Auza, dimenticare l’importanza dei diritti umani universali e fondamentali per avanzare “nuove” categorie e definizioni di “diritti”. Una “priorità selettiva dei diritti umani e civili” che “offusca spesso le nostre discussioni” e va a scapito, dice il presule, di coloro i cui diritti fondamentali vengono calpestati.
L’osservatore permanente richiama l’attenzione dell’Assemblea anche sulla violazione sempre più frequente del diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, che significa libertà di conversione e di professione. Mons. Auza ricorda che sono in costante aumento sia gli atti di violenza commessi in nome della religione sia i “crimini efferati contro la libertà religiosa”, come esecuzioni, conversioni forzate, sequestro di beni, “sanzioni” per professare un’altra religione. E a pagare “in modo sproporzionato” sono le minoranze. La responsabilità non è di istituzioni e autorità statali, spiega il presule, che tuttavia richiama “i frequenti fallimenti dei governi, i ritardi e le inadeguatezze” nella lotta contro “attori”, che definisce non statali e violenti, chiaramente intenzionati a “distruggere le diversità religiose, culturali ed etniche”.
Fonte News.va servizio di Gabriella Ceraso