Il Vaticanese

L’iconografia della Crocifissione

Chioggia Chiesa San Domenico
Chioggia Chiesa San Domenico

La rappresentazione delle immagini sacre fu fortemente ostacolata nella Chiesa primitiva. La proibizione imposta dalla legge ebraica “Non ti farai alcun Dio” (Esodo 34,17) e il timore che le immagini sacre potessero risentire del culto dell’idolatria pagana indussero gli antichi Padri ad opporsi alla tendenza popolare che era portata a venerare l’immagine di Cristo.

I cristiani obbedirono inizialmente, con scrupolo, alle limitazioni imposte dagli antichi Padri, ma la propensione per la venerazione delle immagini sacre prevalse col tempo e le prime rappresentazioni del Cristo non tardarono a far parte del culto.

L’entrata nell’arte del crocifisso si può fare risalire al IV secolo, con l’apparire delle prime croci formate da una trave verticale e un’altra orizzontale, detta “patibulum”, senza la figura del Cristo. L’iconografia della croce ebbe, tuttavia, una rapida evoluzione tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, come è possibile riscontrare nell’abside di S. Stefano Rotondo a Roma, dove comincia a comparire il Cristo posto sopra una croce gemmata, anche se non ancora crocifisso.

A partire dal V secolo il crocifisso con il Cristo comincia a rappresentare il simbolo per antonomasia della religione cristiana ed inizia ad occupare un posto preminente nella produzione dell’arte sacra. La figura del Cristo prende il posto dei diversi simboli con cui era stato concepito nell’antichità, quali la colomba, il pesce o l’Agnello, il più privilegiato presso tutti i popoli del Mediterraneo, come segno dell’innocenza e della purezza e per indicare Cristo come vittima sacrificale per eccellenza.

La prima rappresentazione di una vera crocifissione con la figura di Cristo risale al 432 e si trova intagliata su un pannello della Porta della Basilica di S. Sabina sull’Aventino a Roma dove il Cristo è rappresentato tra i due ladroni, con il perizoma, a braccia distese nella posizione dell’orante e con gli occhi aperti, vittorioso della morte (Christus Triumphans)

Si dovrà, comunque, attendere il Concilio Quininsesto o Trullano II del 692, convocato dall’Imperatore Giustiniano, per introdurre, in via definitiva, la rappresentazione realistica del Cristo. Nella parte dedicata alla trattazione degli argomenti sull’adozione delle immagini sacre furono, infatti, affermati due principi: il richiamo all’importanza della Santa Croce e della sua venerazione (canone 73) e la prescrizione di raffigurare il Cristo in forma umana e non simbolica, come l’Agnello (canone 82).

La causa era vinta ma sorse subito un vivace contrasto su come effigiare il Cristo: con il volto segnato dalla bellezza o con sembianze di avvilimento e di mortificazione? Sembrava un quesito di facile soluzione ma, al contrario, due scuole di pensiero di grandi teologi si scontrarono tra loro, tra chi sosteneva, come S. Gregorio di Nissa, S. Crisostomo e S. Giovanni Damasceno che Cristo era il più bello degli uomini e chi, invece, come S. Giustino, S. Clemente d’Alessandria e S. Basilio che un aspetto afflitto e sgraziato fosse più consono a chi, per la salvezza degli uomini, si era addossato tutti i peccati del mondo.

I sostenitori di quest’ultima tesi ebbero il sopravvento e, a decorrere dal VI secolo, l’arte sacra – non soltanto del crocifisso ma anche del dipinto – si orientò verso la raffigurazione di un Cristo, dal volto duro e sofferente, a volte sgraziato che, pur senza scadere nel deforme, fu una costante anche nei secoli successivi (Christus Patiens). Il Cristo riproposto pressola Basilica dei SS. Cosma e Damiano a Roma, sempre del secolo VI, si presenta con un viso lungo, con zigomi prominenti, un naso sottile, gli occhi grandi e incavati.

Tra il VII e l’VIII secolo si ripropose, nella Chiesa orientale, una improvvisa rinascita dell’eresia ecclesiastica contro le immagini sacre da parte degli  imperatori bizantini Leone III, detto Isarico (675-741), Costantino V, detto Copronimo (718-775) e Leone IV, detto Cazaro (750-780), prima di essere  condannata con II Concilio di Nicea del 787 e definitivamente debellata con il Concilio di Costantinopoli dell’843.

A cavallo del primo e del secondo millennio la rappresentazione della figura del Cristo crocifisso è sempre patetica, con il volto solcato dalla sofferenza, come appare nella croce della badessa Reingarda a Pavia (ante 996), nella croce del Vescovo Leoni nel Duomo di Vercelli (ante 1026) e la croce del Vescovo Ariberto nel Duomo di Milano (post 1018).

Una ulteriore evoluzione dell’arte sacra si verificò nell’Italia centrale, nel XII secolo, quando cominciarono ad apparire le prime croci dipinte direttamente su legno da appendere all’arco trionfale delle Chiese. Con questa innovazione si tornava anche alle immagini del “Christus Triumphans”, con il Cristo posto in posizione frontale, con la testa eretta e gli occhi aperti nel trionfo della morte. Il più antico esempio di croce dipinta di questo secolo è il crocifisso che si trova nel duomo di Sarzana, vicinoLa Spezia, firmato da un maestro di nome Guglielmo.


Dal XIII al XIV secolo si rientra nella raffigurazione del Cristo sofferente, con la testa reclinata sulle spalle, gli occhi chiusi e il corpo incurvato nello spasmo del dolore. Ritorna il “Christus Patiens” con l’esaltazione drammatica del Cristo morente.  Esempi di questo secolo sono il crocifisso del Pisano per la Chiesa di S. Domenico a Bologna, con il quale si dà rilievo al volto contratto dal dolore e al corpo inarcato lateralmente, e il crocifisso di Cimabue nella Chiesa di Santa Croce a Firenze, dove l’inarcamento del corpo è molto più accentuato per un risalto più drammatico della figura. L’iconografia delle croci dipinte del “Christus Patiens” si conclude con il crocifisso di Giotto nella Chiesa di S. Maria Novella a Firenze, vero capolavoro d’arte di estrema drammatizzazione, dove la sofferenza è rappresentata non più dal corpo inarcato ma dal peso del corpo che pende verso il basso, sostenuto soltanto dalle braccia inchiodate, oltre che dai piedi uniti e forati da un unico chiodo.

Con l’inizio del XV secolo all’arte della tavola lignea dipinta subentrò quella del crocifisso scolpito direttamente sul legno. Anche le forme ieratiche e stilizzate delle croci dipinte si ricompongono e si completano nella bellezza e nell’armonia delle forme classiche. Appartengono a quest’epoca il crocifisso in legno del Brunelleschi del 1420 pressola Chiesadi S. Maria Novella a Firenze e il crocifisso in legno del Donatello del 1425 pressola Chiesadi Santa Croce a Firenze.

Con il Concilio di Trento (1545-1563) venne data una spinta per un incremento di produzione dell’arte sacra figurativa e delle immagini sacre, in quanto ritenute di rilievo per il loro significato didattico-educativo. Appartengono a questo periodo il crocifisso ligneo che il cardinale Baronio donò nel 1564 alla Chiesa di S. Bartolomeo apostolo di Sora, sua città natale, in cui la figura di Cristo è caratterizzata dall’equilibrio compositivo e classica nelle forme anatomiche, e il crocifisso realizzato da Michelangelo Buonarroti nel 1540 per Vittoria Colonna, il cui corpo non appare sfigurato ma atletico e robusto.

Dal XVII secolo in poi, e ancora oggi, le interpretazioni stilistiche del crocifisso, incentrate sulla raffigurazione del “Christus patiens”, differiscono a seconda della tecnica adottata dall’artista, dalle invenzioni artistiche e dalle espressioni di devozione legate a specifici territori.

 

a cura di Cosimo Lasorsa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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