A cura di Don Renzo Giuliano/
L’Arcivescovo Mons. Angelo De Donatis è il nuovo Vicario Generale del Santo Padre per la Diocesi di Roma, ad iniziare da questa festività di San Filippo Neri, Patrono secondario della stessa Diocesi. La figura di San Filippo Neri richiama subito e serenamente per tutti una umanità ampia, tenera, sincera, vicina a tutto il popolo dei fedeli. Questa coincidenza non casuale può rimandare alla figura del nuovo Vicario per la Città di Roma, Mons. Angelo De Donatis, ben conosciuto a motivo della sua disponibilità all’ascolto, al consiglio, all’aiuto, all’amicizia aperta e cordiale.
UNA FORTE SPIRITUALITA’ TEMPRATA NELLA TERRA NATALE
La forte spiritualità di “don Angelo” è stata temprata dalle esperienze giovanili parrocchiali nella sua terra natale, dagli anni intensi e vivaci della sua pastorale da viceparroco in diverse parrocchie romane, dalla sua responsabilità di parroco nella centrale e storica chiesa di S. Marco a piazza Venezia, dal servizio alla Curia diocesana ed al Pontificio Seminario Romano Maggiore nel ruolo di Padre spirituale di tanti giovani che, divenuti preti, hanno continuato ad essere da lui seguiti. E’ stata essenziale la donazione di tale spiritualità a innumeri comunità di religiosi e religiose, di sacerdoti e comunità diocesane, costantemente nutrita di un’attenzione fedele alla Parola di Dio ed ai bisogni interiori dell’uomo, e fedelmente aiutata dalla tradizionale e sicura spiritualità degli Esercizi ignaziani.
IL VISSUTO DI “DON ANGELO” HA TROVATO ACCOGLIENZA NELL’ANIMO DEL PAPA
Il discernimento di Papa Francesco nella scelta di Mons. De Donatis, oggi Arcivescovo e Vicario, ha origine nell’ascolto delle meditazioni tenute agli Esercizi spirituali alla Curia romana, di cui il Papa è stato fruitore. Pacatezza, semplicità e aderenza di vita al vissuto evangelico nella predicazione di don Angelo, come nella sua vita quotidiana, sono state le coordinate che hanno trovato accoglienza nell’animo del Papa e gli hanno fatto intravedere l’efficacia del lavoro sacerdotale portato avanti da quel padre spirituale. Timbro figurativo di quelle meditazioni è rimasto quel frutto di melograno mostrato fisicamente agli ascoltatori, simbolico di un lavoro di unità e di sgranata particolarità di lavoro nel fruttuoso lavoro della Chiesa.
UNA NOMINA CHE GUARDA ALLE VOCAZIONI E ALLA CRESCITA DEL POPOLO DI DIO
La scelta di nominare Mons. De Donatis Vescovo Ausiliare per la formazione del Clero e per i Seminari diocesani nasce da questa conoscenza, suggellata dal gesto del Papa di ordinarlo personalmente nella Liturgia di Ordinazione episcopale, guarda caso nel giorno della Dedicazione della Cattedrale Lateranense. Un gesto questo non solo di amicizia, quanto di un disegno che si delineava abbastanza eloquente. La fiducia di Papa Francesco è cresciuta in questa sintonia e lo ha portato a compartecipare il suo servizio verso l’intero presbiterio di Roma a Mons. De Donatis, rilevando l’urgenza e la preoccupazione per il problema dei sacerdoti e delle vocazioni, intimamente legati alla crescita dell’intero popolo di Dio. La scelta del proprio Vicario ora conferma quella prioritaria attenzione pastorale del Papa e la fiducia riposta nel responsabile di quell’iter di formazione. Del resto la fiducia del Papa conferma la medesima fiducia e la stessa attesa che il presbiterio romano sente ben forte.
PROFONDA CONOSCENZA DEL CLERO DIOCESANO DI ROMA
La prerogativa di far parte e conoscere l’intero clero diocesano, come è per il nuovo Vicario, pare già un elemento essenziale per un percorso positivo e coinvolgente, senza ritardi. La scuola del Cardinale Vicario Ugo Poletti, di cui “don Angelo” è stato figlio al principio del cammino sacerdotale, è un faro di concretezza pastorale che continuerà a portare frutto e decisa speranza ancora oggi, in questa svolta indicata da Papa Francesco e indirizzata dalla stessa consultazione diocesana.
Il motto episcopale di Mons. De Donatis racchiude quell’intenzione di spiritualità e di pastoralità che dirige il suo cuore di pastore e che ha riespresso nella sua lettera di presentazione e saluto subito dopo la nomina. “Amate vos invicem. Nihil caritate dulcis, nihil pace gratius. Et vos ipsi scitis quod prae ceteris vos semper dilexi et diligo: quasi unius patris filii coaluistis in adfectu germanitatis”. Da questo passo di S. Ambrogio (De officiis, libro II, 155) l’Arcivescovo Vicario palesa la sua dilezione e fraternità da esercitare nel suo grande, delicato, corresponsabile “officium” di amore, sia dinanzi alla comunità cristiana di Roma e soprattutto davanti al Buon Pastore, Cristo Signore ed allo Spirito del suo Amore.
Auguri, Mons. Vicario per la Diocesi di Roma!
Festa di San Filippo Neri, 26 maggio 2017
Don Renzo Giuliano
LO STEMMA E IL SUO SIGNIFICATO
Descrizione dello stemma episcopale di
S.E.R. Mons. Angelo De Donatis Arcivescovo tit. di Mottola
Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma
Arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano.
Secondo la tradizione araldica ecclesiastica cattolica, lo stemma di un Arcivescovo è tradizionalmente composto da:
- uno scudo, che può avere varie forme (sempre riconducibile a fattezze di scudo araldico) e contiene dei simbolismi tratti da idealità personali, o da tradizioni familiari, oppure da riferimenti al proprio nome, all’ambiente di vita, o ad altro;
- una croce astile doppia, arcivescovile (detta anche “patriarcale”) con due bracci traversi all’asta, in oro, posta in palo, ovvero verticalmente dietro lo scudo;
- un cappello prelatizio (galero), con cordoni a venti fiocchi, pendenti, dieci per ciascun lato (ordinati, dall’alto in basso, in 1.2.3.4), il tutto di colore verde;
- un cartiglio inferiore recante il motto scritto abitualmente in nero.
Nel nostro caso si è scelto uno scudo rinascimentale di foggia gotica, classico e frequentemente usato nell’araldica ecclesiastica e una croce patriarcale “trifogliata” in oro, con cinque gemme rosse a simboleggiare le cinque piaghe di Cristo.
Descrizione Araldica (blasonatura) dello scudo del Vescovo De Donatis
“Interzato in pergola rovesciata: nel 1° di rosso al leone, alato e nimbato, con la testa posta di fronte, accovacciato, tenente con le zampe anteriori avanti al petto il libro d’oro, scritto delle parole in lettere maiuscole romane di nero, PAX TIBI MARCE nella prima facciata, in quattro righe, ed EVANGELISTA MEUS nella seconda facciata, similmente in quattro righe; nel 2° d’azzurro alla basilica d’argento; nel 3° dell’ultimo alla mela granata al naturale, aperta di rosso, gambuta e fogliata di verde di sei pezzi, posta in sbarra”
NIHIL CARITATE DULCIUS
(Ambrosius “De Officiis ministrorum” Liber 2, Caput XXX, 155)
Le parole scelte da Don Angelo per il proprio motto episcopale sono tratte dal “De officiis ministrorum” di Sant’Ambrogio laddove dice “Sit inter vos pax, quae superat omnem sensum. Amate vos invicem. Nihil caritate dulcius, nihil pace gratius…”(“Sia tra di voi la pace che supera ogni sentimento. Amatevi gli uni gli altri. Nulla è più dolce dell’amore, nulla più gradevole della pace”)
Interpretazione
L’ornamento esterno caratterizzante lo stemma di un Arcivescovo, oltre ai venti fiocchi verdi pendenti ai due lati dello scudo, è la croce astile arcivescovile. Tale croce, detta anche “patriarcale”, a due bracci traversi, identifica la dignità arcivescovile: infatti, nel XV secolo, essa fu adottata come ornamento esterno allo scudo dai Patriarchi e, poco dopo, dagli Arcivescovi. Alcuni studiosi ritengono che il primo braccio traverso, quello più corto, volesse richiamare il cartello con l’iscrizione “INRI” posta sulla croce al momento della Crocifissione di Gesù.
Nella parte in alto a destra dello scudo, (va ricordato che in araldica destra e sinistra sono invertite rispetto a chi guarda in quanto lo scudo va visto come strumento di difesa da tenere davanti al corpo quindi destra e sinistra si riferiscono a chi porta lo scudo) campeggia il leone di San Marco a cui è dedicata la Parrocchia che Don Angelo ha guidato dal 2003 ad oggi; esso campeggia sul rosso che è il colore dell’amore e del sangue: l’amore intenso e assoluto del Padre che invia il Figlio a versare il proprio sangue per noi mentre a sinistra appare la “basilica”, termine araldico che identifica il cosiddetto “gonfalone papale”. Si tratta di un baldacchino a guisa di ombrellone che sovrasta le chiavi “petrine” disposte in “decusse”. E’ un classico simbolo della Chiesa del Vescovo di Roma, il Papa, che ha nominato Mons. De Donatis suo Vicario Generale per la Diocesi di Roma e Arciprete della Basilica Papale di San Giovanni in Laterano. Questo simbolo è posato su di uno sfondo azzurro, colore simbolo della incorruttibilità del cielo, delle idealità che salgono verso l’alto; rappresenta il distacco dai valori terreni e l’ascesa dell’anima verso Dio.
In basso appare una melagrana, frutto citato più volte nella Bibbia: nel libro dell’Esodo (Es 39,24-26) si prescrive che immagini raffiguranti questo frutto dovevano essere applicate sugli abiti rituali dei sacerdoti ed è uno dei frutti elencati come speciali prodotti della “Terra Promessa” infatti si dice: “….il Signore sta per farti entrare in un’ottima terra…terra da grano, da orzo e da viti dove prosperano i fichi, i melograni e gli ulivi” (Dt 8,8). Nel cristianesimo la melagrana, a causa del colore rosso vivo dei suoi semi e soprattutto del suo succo, è simbolo del sangue versato da Cristo e dai Martiri; infatti, in molti dipinti a tema religioso i pittori del XV e del XVI secolo raffiguravano il Bambino Gesù con in mano una melagrana che raffigura la passione che il Cristo dovrà subire.
Inoltre, rappresenta l’unione di tutti i figli della Chiesa.
Lo sfondo è in argento che in araldica simboleggia la trasparenza, quindi la purezza della Beata Vergine Maria a cui Don Angelo affida il suo nuovo ministero pastorale.