a cura di Mons. Renzo Giuliano/
Paolo di Tarso scrive nella Lettera ai Romani: “il mio vangelo che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni, ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede” (16, 25-26). Paolo fa suo l’annuncio (“il mio vangelo”) e lo presenta quale esperienza che ha trasformato la sua esistenza. La sua caduta sulla via di Damasco è stata preceduta dalla folgorazione di luce e di potenza dell’annuncio, ascoltato ed accolto, del nome di salvezza piena: Gesù Cristo. L’annuncio che cambia una vita è realmente un rinascere; esso è precisamente un autentico Natale. Si parla di ‘sentimento’ del Natale e del suo periodo festivo. E’ anche esatto, qualora la percezione dei sensi però raggiunge l’interiorità della persona e ne smuove sia l’anima che il corpo e ne fa una risposta vivente alla fede. L’annuncio di Gesù il Cristo da parte dell’Apostolo e della Chiesa è la ‘buona notizia’ perché è la comunicazione ‘schok’, determinante, finale, risolutiva che l’umanità attende.
E ‘buona notizia’ giacché entra nel cuore dell’uomo e gli restituisce ed accresce la speranza della dignità ricevuta dall’essere, come creato dal suo Dio, e lo instrada nuovamente sulla via della giustizia che viene illuminata dai Comandamenti e dalle Beatitudini.
E’ ‘buona notizia’ perché pone, con la delicatezza di un dono, la carità nell’agire umano e ne fa espressione di un vissuto significante che viene illuminato dall’amore verso Dio e verso il prossimo, quale unica ed inscindibile nuova Legge.
E’ ‘buona notizia’ in quanto non si giustifica solo come etica, così necessaria alla condotta umana, ma come morale di un atteggiamento costante che viene illuminato e quindi sorretto dallo stesso agire di Dio verso di noi: come ha fatto Lui, così anche noi, nell’uguale impegnativo spirito di santità.
E’ ancora ‘buona notizia’ per quanto è capace di comunicare un positivo fatto: Cristo Signore è nato; ed è narrazione che lascia a Dio stesso lo spazio di raccontare e rivelare così la sua ultima volontà: la salvezza è nel suo Figlio prediletto, Gesù Cristo, mandato nel mondo. La comunicazione ‘natalizia’ di Dio non ha parzialità; essa svela tutta l’ampiezza del disegno universale di amore: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Sotto il denominatore contemplativo dell’amore, si uniscono la gloria e la pace, il più alto dei cieli e la terra, cioè si delinea la comunicazione, la più completa ed esaustiva, di un progetto desiderato, chiaro e fattibile da tutti, senza eccezioni. Ogni intelligenza anela a queste dimensioni. Questa comunicazione apre al mistero divino ‘avvolto nel silenzio per secoli eterni’, ha scritto Paolo di Tarso, e si percepisce difatti per tutta questa potenzialità infinita di verità, pari al silenzio che l’ha custodita da sempre; l’intensità non si è mai perduta o sciamata ed ora, in Cristo Signore, Dio con noi, diviene epifania di grazia assoluta che continua ad avvolgerci.
‘L’obbedienza della fede’ è accoglienza di tale ‘buona notizia’ che ci struttura nella libertà di Dio che viene e che rallegra – fa esultare, come per Maria, Madre di Dio, il cuore degli uomini, anelanti all’unica ricchezza della loro vita: essere poveri, così da saper condividere e saper fare comunione festosa con tutti.
Comunicare il Natale è un dono di gioia ed è un augurio comunicativo che ci scambiamo per essere fraternamente solidali.