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Il pane e il vino nei riti sacri

Intervista a Giovanni Filoramo

Giovanni Filoramo
Giovanni Filoramo insegna Storia del Cristianesimo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Torino.

Perché l’eucaristia, sacramento centrale della religione cristiana, si serve di pane e vino? Tra pane e sacro esiste una relazione precedente al cristianesimo?

 

Il pane, come altri cibi, è stato usato ben prima dell’avvento del cristianesimo in riti religiosi come oggetto da offrire alla divinità. Dall’Epopea di Gilgamesh, un racconto epico di fondamentale importanza della religione babilonese, apprendiamo che già nel secondo millennio a.C. il pane era offerto agli dèi come oggetto consacrato. Anche in altre culture del Mediterraneo antico, in cui si coltivava il grano e l’alimentazione era incentrata sul consumo dei cereali, il pane ha avuto un posto d’onore nei rituali. Soltanto nel cristianesimo, d’altro canto, la consacrazione del pane e il suo sacrificio in quanto «corpo di Cristo» hanno assunto un valore così centrale e assoluto. Su questo punto, il cristianesimo si differenzia dalle religioni classiche come quella greca e quella romana. Per i greci, il cibo privilegiato offerto nei grandi sacrifici pubblici – che costituivano il cuore della religione delle città greche – era la carne degli animali uccisi per essere offerti alle varie divinità. Questa carne era cotta e offerta alla divinità nelle parti ritenute più preziose, mentre il resto veniva diviso tra i sacerdoti officianti e distribuito al popolo che partecipava al rito.
Anche i greci avevano una divinità protettrice dei cereali (e dunque del pane), Demetra, in onore della quale, a partire dal vii secolo a.C., si celebrarono in una cittadina vicino ad Atene, Eleusi, riti misterici celebri. Proprio, però, la natura misterica di questi riti, che impediva agli iniziati di svelarne il contenuto, ci impedisce di sapere se per esempio a Demetra fosse offerto in sacrificio il pane.
Se si vuole trovare un precedente al rito cristiano, occorre guardare alla religione dell’Israele antico. In alcune antiche feste ebraiche, attestate nell’Antico Testamento, sono presenti usi sacrali del pane.Per Shavu’ot, la festa del raccolto o Festa delle Settimane, ad esempio, gli israeliti recavano al loro Dio come oblazione due pani di grano. Questa festa aveva luogo cinquanta giorni (sette settimane) dopo la Pasqua e divenne perciò nota col nome greco di Pentecoste: commemorava il giorno in cui Mosè ricevette le Tavole della Legge sul monte Sinai. Vi era poi Hag ha-Matsot, la festa del Pane Azzimo, una delle tre grandi feste agricole celebrate dagli israeliti dopo il loro stanziamento nella terra di Canaan. Essa era originariamente un rito di ringraziamento all’inizio del raccolto del grano, ma più tardi venne unita alla festa pastorale nomade della Pasqua, la commemorazione storica dell’uscita di Israele dall’Egitto. Per sette giorni gli ebrei mangiavano solo pane non lievitato, come segno di un nuovo inizio. Un precedente importante del rito cristiano è, infine, il «pane della presenza», che gli israeliti erano soliti deporre davanti al Santo dei Santi nel Tempio di Gerusalemme (Levitico 24,5-9): sopra una tavola, su due pile, venivano poste dodici focacce di pura farina di grano, rappresentanti le dodici tribù di Israele e la loro alleanza eterna conJahvé. Ogni sabato esse venivano rimpiazzate e mangiate dai sacerdoti. Proprio questi precedenti, d’altro canto, aiutano a comprendere meglio la profonda e radicale novità rappresentata dal rito cristiano, che presuppone l’identificazione di Gesù come «pane di vita» (Giovanni 6) col pane offerto dal sacerdote. Se si vuole trovare un parallelo occorre guardare a una religione lontana nel tempo e nello spazio, una religione tipicamente sacrificale come quella degli aztechi.Essi usavano fare un impasto simile al pane dai semi del papavero e lo modellavano a forma del dio Huitzilopochtli. Questo pane a forma di figura umana veniva poi spezzato e mangiato dai sacrificanti, con lo scopo di «mangiare il dio» per assimilarne sostanza e poteri.

Anche il vino ha avuto un uso religioso prima del cristianesimo? Qual è lo specifico cristiano?
Quanto al vino, occorre partire da una premessa: come nel caso del pane l’uso rituale e sacro ha come premessa indispensabile la presenza della coltura dei cereali, così l’uso rituale e sacro del vino ha come premessa necessaria la coltura della vite. Ora, nel mondo mediterraneo antico che fa da sfondo al sorgere e alla diffusione del cristianesimo, la coltura della vite non era altrettanto diffusa di quella dei cereali. Non dovremo, di conseguenza, stupirci, che un uso rituale e sacro del vino sia presente in quei paesi, come l’Egitto, Israele, la Grecia e Roma, dove la coltivazione della vite e l’uso del vino sono largamente attestati. Occorre inoltre tenere presente una seconda caratteristica delle antiche culture del vino: il fatto che esso per lo più venisse consumato mescolato a quantità variabili di acqua. Il vino, infatti, come insegna in Grecia la vicenda del dio che ne è il simbolo, Dioniso, ha una doppia valenza, positiva e negativa: può curare dai malanni, donare l’ebbrezza momentanea che libera da affanni e preoccupazioni, favorire in certi casi addirittura l’estasi che permette di congiungersi alla divinità; ma, preso in quantità eccessiva, è pericoloso e può condurre alla follia o alla morte. Per questo, in varie mitologie, nella sua purezza e integrità, esso è la bevanda degli dèi, che garantisce loro l’immortalità.
Torniamo ora al suo uso sacrificale. Vi sono precedenti all’uso rituale e sacrificale cristiano. In Egitto a lungo il vino è stato, insieme alla birra, l’offerta sacrificale più diffusa. Non a caso, nei Testi delle piramidi il cielo viene descritto come una vigna divina e il defunto potrà, dopo la sua morte, goderne i frutti. È in Grecia, però, che il vino acquista, in collegamento con la figura misteriosa di Dioniso, una valenza sacrificale particolare. Nella tragedia di Euripide Le Baccanti, il dio è identificato col vino: «È lui che, nato dio, viene versato come offerta agli dèi…» (v. 284). Dioniso viene dunque identificato con la sostanza stessa del vino offerto nel sacrificio agli dèi, secondo un modello che si ritrova peraltro nel sacrificio del soma, una bevanda simile al vino, nei testi più antichi dell’induismo, i Veda. D’altro canto, il sacrificio cristiano si distingue da quello dionisiaco perché ora a essere identificato col vino è un personaggio storico in carne e ossa: Gesù, e per il valore di memoriale che lo stesso Gesù assegna a questa consacrazione nell’ultima cena di quell’evento fondante e specifico del cristianesimo che è la sua passione, morte e risurrezione.

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