Papa Francesco attraverso le carezze che ha dato ai malati e le attenzioni che ha concesso a chi lo ha incontrato ci ha fatto sentire come la Chiesa sia per davvero la madre di ciascuno di noi. Ognuno senza alcuna esclusione. Per questo viene spontaneo prestare sempre più attenzione alle sue parole, ad una Chiesa Madre, feconda, che esce da se stessa, non è triste e va a cercare anche una sola pecora smarrita. Contano le sue parole non solo perché sia solo il Papa ma perché, senza pensare ad un organigramma, che comunque merita grande rispetto, il Papa è successore di Pietro e rappresenta Cristo accanto a Maria, proteso verso tutti, come un papà, come un nonno. Sentire e toccare con mano tutto questo è molto bello ma è un amore che ‘non deve restare nel cuore ma riporre nelle mani’ (Francesco di Assisi), con un si attivo.
V.N.
Riportiamo di seguito le parole pronunciate da Francesco nella Messa di Santa Marta.
“Aprire le porte alla consolazione del Signore”. Francesco ha preso spunto, nella sua omelia, dalla prima lettura in cui il profeta Isaia parla della fine della tribolazione di Israele dopo l’esilio a Babilonia. “Il popolo – ha commentato il Santo Padre – ha bisogno di consolazione. La stessa presenza del Signore consola”. Una consolazione, ha soggiunto, che c’è anche nella tribolazione. E tuttavia, ha ammonito “noi, al solito, fuggiamo dalla consolazione; abbiamo sfiducia; siamo più comodi nelle nostre cose, più comodi anche nelle nostre mancanze, nei nostri peccati. Questa – ha detto – è terra nostra”. Invece, ha affermato, “quando viene lo Spirito e viene la consolazione ci porta ad un altro stato che noi non possiamo controllare: è proprio l’abbandono nella consolazione del Signore”.
Francesco sottolinea che “la consolazione più forte è quella della misericordia e del perdono”. E ha così rivolto il pensiero alla fine del XVI capitolo di Ezechiele, quando dopo “l’elenco di tanti peccati del popolo”, dice: “Ma io non ti abbandono; io ti darò di più; questa sarà la mia vendetta: la consolazione e il perdono”, “così è il nostro Dio”. Per questo, ha ripreso, “è buono ripetere: lasciatevi consolare dal Signore, è l’unico che può consolarci”. Anche se “siamo abituati ad affittare consolazioni piccole, un po’ fatte da noi”, ma che poi “non servono”. Di qui, si è soffermato sul Vangelo odierno, tratto da Matteo, che parla della parabola della pecorella smarrita:
“Io mi domando quale sia la consolazione della Chiesa. Così come quando una persona è consolata quando sente la misericordia e il perdono del Signore, la Chiesa fa festa, è felice quando esce da se stessa. Nel Vangelo, quel pastore che esce, va a cercare quella pecora smarrita, poteva fare il conto di un buon commerciante: ma, 99, se ne perde una non c’è problema; il bilancio… Guadagni, perdite… Ma va bene, possiamo andare così. No, ha cuore di pastore, esce a cercarla finché la trova e lì fa festa, è gioioso”.
“La gioia di uscire per cercare i fratelli e le sorelle che sono lontani: questa – ha evidenziato Francesco – è la gioia della Chiesa. Lì la Chiesa diventa madre, diventa feconda”:
“Quando la Chiesa non fa questo, quando la Chiesa si ferma in se stessa, si chiude in se stessa, forse si è ben organizzata, un organigramma perfetto, tutto a posto, tutto pulito, ma manca gioia, manca festa, manca pace, e così diventa una Chiesa sfiduciata, ansiosa, triste, una Chiesa che ha più di zitella che di madre, e questa Chiesa non serve, è una Chiesa da museo. La gioia della Chiesa è partorire; la gioia della Chiesa è uscire da se stessa per dare vita; la gioia della Chiesa è andare a cercare quelle pecore che sono smarrite; la gioia della Chiesa è proprio quella tenerezza del pastore, la tenerezza della madre”.
La fine del brano di Isaia, ha spiegato, “riprende questa immagine: come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna”. Questa, ha detto il Papa, “è la gioia della Chiesa: uscire da se stessa e diventare feconda”:
“Il Signore ci dia la grazia di lavorare, essere cristiani gioiosi nella fecondità della madre Chiesa e ci guardi dal cadere nell’atteggiamento di questi cristiani tristi, impazienti, sfiduciati, ansiosi, che hanno tutto perfetto nella Chiesa, ma non hanno ‘bambini’.
Che il Signore ci consoli con la consolazione di una Chiesa madre che esce da se stessa e ci consoli con la consolazione della tenerezza di Gesù e la sua misericordia nel perdono dei nostri peccati”.
Fonte: Radio Vaticana. Per approfondimenti www.news.va.