L’Osservatore Romano
La Chiesa latinoamericana ha una grande ricchezza: è una Chiesa giovane, con una spiccata freschezza e una teologia dinamica, in ricerca. Certo, ha tanti problemi ed è anche un po’ indisciplinata, ma è viva: una Chiesa di vita. Con ancora negli occhi le immagini dell’incontro con le nuove generazioni ad Asunción, il Papa ha tracciato un primo bilancio del viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay.
Sul volo di ritorno verso Roma, domenica sera, 12 luglio, il Pontefice ha risposto come di consueto ai giornalisti. E ha spiegato che ha voluto recarsi nel suo continente d’origine per incoraggiare questa Chiesa giovane, nella convinzione che essa abbia tanto da dare a quella che vive in altre parti del mondo. Soprattutto all’Europa, dove spaventa il calo delle nascite, e per la quale Francesco è tornato ad auspicare politiche di sostegno alle famiglie.
Con un lungo viaggio e una giornata fitta d’impegni alle spalle, il Papa non si è sottratto alle domande — una quindicina — parlando per oltre un’ora. Diversi gli argomenti affrontati, alcuni dei quali legati ai vari momenti del viaggio, altri ai prossimi appuntamenti, la visita a Cuba e negli Stati Uniti e il Sinodo dei vescovi sulla famiglia, tra gli altri. Quanto alla prima, ha ripercorso le tappe che hanno portato alla ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi nei quali si recherà a settembre. Riguardo al secondo, ha sottolineato la crisi e le difficoltà della famiglia, così come sono state elencate nell’Instrumentum laboris sinodale.
Le prime tre domande, alle quali ha risposto in spagnolo, gli sono state rivolte dalla stampa dei Paesi appena visitati. Interrogato sulla mancanza di un cardinale paraguayano ha detto che se guardiamo alla vitalità di questa Chiesa e alla sua storia gloriosa, il Paese meriterebbe due porporati. Quanto all’aspirazione della Bolivia a uno sbocco al mare ha detto che si tratta di un tema molto delicato. Infine, la strumentalizzazione politica dei discorsi pronunciati in Ecuador ha offerto a Francesco lo spunto per una breve riflessione sull’ermeneutica garbatamente rivolta a tutti i giornalisti. Un testo — ha raccomandato — non si deve interpretare sulla base di una sola frase, ma va valutato tutto il contesto, inclusa la storia che c’è alle spalle.
In italiano le altre domande, grazie alle quali il Papa ha parlato fra l’altro dei movimenti popolari, che si organizzano non solo per protestare, ma anche per andare avanti nella lotta per i diritti dei poveri. Sono tanti — ha sottolineato in proposito — e la Chiesa non può restare indifferente, ma dialoga con loro attraverso la dottrina sociale. E non si tratta di un’opzione anarchica, perché sono lavoratori. Non è una mano tesa al nemico, né un fatto politico, ma catechetico, ha puntualizzato.
In altri passaggi il Pontefice ha fatto il punto sulle difficoltà della Grecia e sui drammi, più vicini alla realtà latinoamericana, del Venezuela, dove la conferenza episcopale lavora per favorire la riconciliazione nazionale, e della Colombia, con l’invito a pregare perché non si fermi il processo di pace, dopo cinquant’anni di conflitto e tantissimi morti.
Il tutto alleggerito con battute lievi, come quelle sull’allergia all’economia, sull’aiuto che riceve dal mate — mentre non ha assaggiato la coca, come ha voluto precisare — e sul fatto di sentirsi un bisnonno quando gli chiedono di posare per i selfie, che comunque considera un fatto culturale delle nuove generazioni. Infine ha fatto chiarezza sui doni ricevuti dal presidente Morales. Le onorificenze resteranno com’è noto in Bolivia e — ha detto — saranno portate al santuario mariano di Nostra Signora di Copacabana. Quanto invece al crocifisso ligneo scolpito su falce e martello, ha detto di non averlo considerato un’offesa e di averlo portato con sé nel ricordo di padre Espinal, un uomo speciale, geniale, che lottava per il suo popolo anche attraverso l’“arte di protesta” contenuta nelle sue poesie e in altre forme di espressione.