La Bellezza del recupero dei minori a rischio. Il compito delle Istituzioni

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Dott. Luigi Di Mauro, Direttore Generale Personale e Formazione, Dipartimento Giustizia Minorile
Dott. Luigi Di Mauro, Direttore Generale Personale e Formazione, Dipartimento Giustizia Minorile

A cura di Cosimo Lasorsa/

Il disagio minorile è un problema assai discusso e di basilare interesse per la società civile, al quale deve essere attribuito la massima attenzione al fine di determinarne le cause e le responsabilità, nonché i possibili e necessari interventi da parte dello Stato e delle Istituzioni per assicurare un percorso di prevenzione e di allontanamento dalla criminalità.

Quando si parla di disagio minorile si entra in una tematica molto complessa per le difficoltà che si presentano ai fini della valutazione dell’atteggiamento comportamentale del minore e delle motivazioni che l’hanno portato a delinquere.

Marginalità e devianza sono spesso collegate all’ambiente familiare al quale il minore appartiene o al degrado del quartiere nel quale vive. Non c’è dubbio che la famiglia e il territorio, anche se non sono i soli fattori, hanno un forte impatto sulla formazione caratteriale del minore. Laddove non sono presenti genitori di riferimento valoriale, ma soltanto figure di dubbia moralità e di limitata capacità intellettiva e culturale, la tendenza a trasformare il disagio in atti devianti è molto forte, così come vivere e operare in un ambiente degradato contribuiscono a creare una situazione di malessere che può essere alla base di una crisi adolescenziale.

In un mondo globalizzato, quale quello attuale, dove la ricerca della ricchezza e del potere assume un aspetto rilevante, il degrado socio-econimico in cui vive il minore costituisce uno stimolo maggiore per cedere alle lusinghe della prospettiva del guadagno facile, favorendone l’introduzione nelle organizzazioni criminali. Conoscere l’ambiente familiare e sociale al quale appartiene il minore è, quindi, il punto di partenza per ogni possibile valutazione sugli interventi che potranno essere adottati per tentare di consentirne il recupero e offrire loro una nuova esperienza di crescita che possa portarli, compatibilmente con le doti e le propensioni personali, fino all’inserimento nel mondo del lavoro. Restituire la dignità e ridestare l’amor proprio del minore è il passo successivo che le istituzioni devono perseguire attraverso programmi di recupero appositamente predisposti, quali l’assegnazione a comunità polifunzionali per il superamento delle problematiche psicologiche e relazionali, la frequenza presso idonee strutture scolastiche per l’accrescimento della cultura di base, la partecipazione a centri di aggregazione specializzati per la socializzazione con altri minori che possano servire da riferimento.

Quale allora il contributo dello Stato e delle istituzioni per arginare e prevenire queste situazioni di disagio che si riflettono negativamente nella società civile?

La risposta a questa domanda l’ha fornita il prof. Luigi Di Mauro con la sua interessante conferenza tenuta presso il Serra International Italia Club di Roma il 21 maggio 2014 sul tema: “La bellezza del recupero dei minori a rischio quale sentito e doveroso compito della Comunità e delle Istituzioni” .

Il prof. Luigi Di Mauro è il Direttore Generale del Personale e della Formazione e Risorse Umane presso il Ministero della Giustizia, il cui compito è di concorrere, con le altre Direzioni Generali e con gli Uffici del Capo Dipartimento, alla realizzazione degli interventi di giustizia minorile e all’attuazione dei provvedimenti giudiziari attraverso un’adeguata amministrazione, sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, nonché attraverso specifici programmi di formazione e aggiornamento del personale dipendente.

Il rapporto dell’educazione con la bellezza – è stato la mirabile introduzione al tema dell’illustre relatore – riguarda sicuramente il modo di “essere” dell’uomo di fronte alla vita e all’esperienza della propria intimità. Papa Giovanni XXIII, il 26 dicembre 1958, comunicò ai detenuti del Carcere di Regina Coeli non parole cariche di riflessioni teologiche o filosofiche, ma espressioni pregnanti di emozioni, che rivelavano l’intento di una decisa testimonianza umana: “Dunque eccoci qua. Sono venuto, m’avete veduto. Io ho messo i miei occhi nei vostri occhi, ho messo il cuore mio vicino al vostro cuore”. In questa celebre frase emerge il senso dell’”essere” specifico dell’uomo, privilegiato dalla Grazia della Fede e dalla fiducia verso chi gli è simile. La testimonianza del Santo Padre offre nuove prospettive a chi le aveva perdute. La manifestazione che si esprime nella “presenza” è, in questo caso, la migliore forma di comunicazione non verbale, quella della volontà di porre i propri occhi dentro il dolore di altri occhi, per scovarne un’esigenza connaturata alla stessa esistenza: la speranza. In tale modo si concretizza l’aspetto per cui, nel cristiano, la vita esprime la sua verità più profonda, in cui ognuno ricerca risposte che da solo non può trovare. Il Santo Padre dimostrò la capacità di portare un “segno tangibile” corrispondente alla necessità di esprimersi testimoniando la Fede come verità di vita che attraversa nel profondo l’esperienza umana. Il Papa comunicò un’offerta di Fede che ci lascia testimoni ancora oggi delle infinite risorse donate da Dio. In quel frangente si crea un clima d’intensa umanità che lascia scaturire un applauso da parte di tutti i detenuti: il carcere appare lontano ed emerge la speranza di credere ancora in se stessi. Un detenuto chiede al Santo Padre: “Le parole di speranza che lei ha pronunciato valgono anche per me, che sono un grande peccatore?” Roncalli non risponde. Si china sull’uomo, lo solleva, lo abbraccia e lo tiene a lungo stretto a sé. L’esempio risponde più delle parole, dispiega l’esistenza come senso e come valore cristiano e segno di verità. Questo aspetto lascia intravvedere la bellezza dell’azione educativa non come un fatto semplicemente estetico o di mera forma metodologica dell’intervento educativo, bensì come aspetto di riconoscimento profondo dell’umanità e della sua capacità di riscatto nell’esperienza del dolore. La verità si rivela grazie al riconoscimento della vita come dono e della sofferenza come risorsa. E’ così che il “segno” e il “gesto” lasciano intravvedere una dimensione di approfondimento che giunge oltre la ragione umana. Questa è una prospettiva che viene offerta ai detenuti e alla loro desolazione più profonda come forma di speranza negli altri e segno di fiducia in sé stessi.

A partire da questo riconoscimento si può raggiungere il significato del mandato istituzionale della Giustizia Minorile. Il Dipartimento per la Giustizia Minorile, infatti, provvede a un’organizzazione amministrativa che apporta mezzi nei confronti di una realtà sociale costituita da minori attinti da misure penali perché hanno commesso reati. La realtà del Dipartimento per la Giustizia Minorile ha come finalità educativa la speranza di restituire questi minori alla socialità e alla loro più viva umanità. In questo mandato istituzionale si rivela l’offerta di fiducia dello Stato nei confronti delle possibilità di recupero dei minori sottoposti a misure penali.

Ma quali sono le linee guida della giustizia minorile che conta una media in Italia di 500 reclusi nelle carceri minorili e 20.000 sottoposti a procedimento penale?

I principi che conformano l’organizzazione del Dipartimento per la Giustizia Minorile risentono delle garanzie educative necessarie a proteggere gli aspetti umani e morali del minore. Il processo penale minorile, infatti, si pone nella prospettiva di “tutela” e di “garanzia” della crescita ed evoluzione della personalità del minore. La “difesa” sociale è subordinata, quindi, a una prevenzione attuata con gli strumenti risocializzativi ed educativi e tale aspetto esige una presa di coscienza delle specificità del sistema penale minorile rispetto a quello degli adulti. Il processo penale minorile, pur con tutte le garanzie del processo ordinario, tende a limitare, per quanto possibile, gli effetti dannosi che il contatto con la giustizia potrebbe provocare e produce risposte adeguate alla personalità e alle esigenze educative del minore. Le linee guida individuabili evidenziano come il legislatore abbia sottolineato il diritto del minore all’assistenza affettiva e psicologica in ogni stato e grado del procedimento, all’adeguatezza nell’applicazione delle norme alla sua personalità e alle sue esigenze educative, alla tutela della riservatezza, al diritto di impugnazione sugli atti, sulle fasi e i provvedimenti adottati, come condizione necessaria per promuovere quel processo di responsabilizzazione progressiva. Con il nuovo codice di procedura penale minorile, infatti, non si ha più traccia di riformatori, delle prigioni scuole, delle case di rieducazione, cioè di un insieme giuridico-istituzionale che necessitava di uno svecchiamento critico e sociale, nonché culturale. Vengono così istituiti i Servizi della Giustizia Minorile, si designa un nuovo quadro complessivo delle strutture minorili che si possono riassumere in Centri di Prima Accoglienza, Comunità, Uffici del Servizio Sociale per i Minorenni e Centri per la Giustizia Minorile.

Ma non è tutto. Il codice di procedura penale minorile ha previsto, inoltre, una serie di misure, tutte finalizzate a realizzare al massimo il principio della “tutela” del minore. Sono misure che alla luce del principio della “minima offensività” fanno capo alla non interruzione dei processi educativi in atto e alla rieducazione e risocializzazione: le prescrizioni, la permanenza in casa, il collocamento in comunità, la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, la sospensione dal processo e messa in prova, la semidetenzione e la libertà controllata.

La conferma della volontà del legislatore di proseguire sulla strada intrapresa viene dall’istituzione dell’Ufficio Centrale Giustizia Minorile e successivamente con la trasformazione in Dipartimento Giustizia Minorile, cui è demandata l’organizzazione e la direzione di tutti gli Istituti e servizi minorili. Si tratta di una complessa organizzazione piramidale con al vertice un Dipartimento, denominato appunto Dipartimento per la Giustizia Minorile, al quale fanno capo 12 Uffici periferici denominati “Centri per la Giustizia Minorile”, da cui dipendono gli Uffici del Servizio Sociale, gli Istituti Penali minorili, i Centri di prima accoglienza e le Comunità per un totale di 115 strutture distribuite in tutto il territorio nazionale. L’importanza dei servizi gestiti dal Dipartimento per la Giustizia Minorile, tra l’altro, emerge dallo stesso codice di procedura penale minorile ove ripetutamente sono chiamati in causa, quale parte attiva, fin dal momento in cui il minore entra nell’area penale.

In conclusione le misure limitative della libertà personale e le attività del recupero sociale dei minori attinti da una misura penale sono un dovere dello Stato ma, nello stesso tempo, la speranza di un reinserimento sociale.

“Andate incontro a chiunque chiede speranza, la speranza che è in voi”. Con queste stupende e ammirabili parole che Papa Francesco ha pronunciato rivolgendosi ai Vescovi durante il primo Sinodo per la prima volta presieduto personalmente da un Pontefice, si è conclusa la relazione del prof. Luigi Di Mauro.

Cosimo Lasorsa

 

 

 

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