Karol Vojtyla teologo antitotalitario

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Giovanni Paolo II

Quando nel 1959 il giovane Joseph Ratzinger tenne la sua prima lezione da professore, l’Università di Bonn non era molto grande, le varie cattedre non avevano assistenti e dattilografi, ma c’era un rapporto diretto fra i professori e fra questi e gli studenti. E il fatto che un’università avesse una facoltà di Teologia era motivo di orgoglio. L’università formava un “tutto” al di là delle sue diverse facoltà e in questo tutto, in questa dimensione universale dell’intelligenza si svolgeva il lavoro accademico. Una facoltà teologica trova il suo posto nell’università proprio per questo motivo, perché in tale disciplina da sempre fede e ragione si rapportano l’una all’altra. La ragione appartiene all’interrogarsi dell’uomo, al suo impulso verso la conoscenza e la verità che conosciamo già con Socrate. All’uomo non basta ciò che è apparente e superficiale ma è alla ricerca dell’Essere. L’università è il luogo in cui attraverso la ragione l’uomo indaga la struttura del cosmo. Perciò la teologia chiede la ragionevolezza della fede, anche se non tutti condividono questa fede. Un docente di Teologia dogmatica come Erwin Dirscherl ha scritto in un commento al discorso di Ratzinger a Ratisbona: «Il cuore della relazione tra fede e ragione consiste in un appello all’apertura al dialogo, dialogo in cui sosteniamo la nostra posizione ma consci dei nostri limiti e con una disponibilità all’apprendimento e ai cambiamenti».

In che rapporto stanno filosofia e teologia? Benedetto XVI utilizza un concetto cristologico: come il Logos divino è unito e non confuso con la persona umana di Gesù, così va pensato anche il rapporto tra filosofia e fede. Quest’idea, sviluppata dal Papa specialmente nel discorso alla Sapienza di Roma, suona così: «Filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro senza confusione e senza separazione. Senza confusione vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità». La fede non è una minaccia per la filosofia, semmai una sua difesa, soprattutto perché la fede ha bisogno delle filosofia. «La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero». Il fine della filosofia deve essere una ricerca razionale della verità. In ciò risplende la sua vera grandezza. Alla “non confusione” si aggiunge come una sorella gemella la “non separazione”. La filosofia non è una riflessione senza presupposti, che inizia dal nulla, ma anch’essa si appoggia sempre su qualcosa. Un filosofo comincia a speculare all’interno della sapienza del mondo. Perciò la vera filosofia ascolta sempre ciò che la teologia ha da dire e in questo senso non può essere considerata da essa disgiunta. Cosa significano queste considerazioni per l’università? La ragione ha bisogno continuamente di essere purificata, per evitare pericolose patologie. Perciò l’università deve superare «la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento». In questo senso Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio ha sottolineato che «questo ruolo sapienziale non potrebbe essere svolto da una filosofia che non fosse essa stessa un sapere autentico e vero, cioè rivolto non soltanto ad aspetti particolari e relativi – siano essi funzionali, formali o utili – del reale, ma alla sua verità totale e definitiva, ossia all’essere stesso dell’oggetto di conoscenza. Ecco, dunque, una seconda esigenza: appurare la capacità dell’uomo di giungere alla conoscenza della verità». L’uomo raggiunge la verità attraverso quell’adequatio rei et intellectus che insegna Tommaso d’Aquino. Anche la Gaudium et spes dice: «L’intelligenza, infatti, non si restringe all’ambito dei soli fenomeni, ma può conquistare con vera certezza la realtà intelligibile, anche se, per conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e debilitata».

Ne consegue che la teologia deve entrare nell’università, in questo progetto per restituire alla ragione la sua ampiezza. Una sapienza filosofica vincolata all’idea metafisica di verità può dare un nuovo slancio anche al dibattito scientifico europeo. E, per citare ancora una volta l’amico e predecessore di papa Benedetto, il beato Giovanni Paolo II: «La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità. E Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere anche alla piena verità su se stesso». Giovanni Paolo II sapeva che i sistemi totalitari che ignorano questa oggettiva verità dell’uomo non possono sopravvivere. Con la sua fede profonda e la sua lungimiranza filosofica ha dato un contributo essenziale al crollo della dittatura del materialismo comunista.

A cura di Maximilian Heim – di Avvenire

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