a cura di S.E. l’Arcivescovo Mons. Giuseppe Mani/
Gesù è venuto ad annunciare ed iniziare il Regno di Dio nel mondo. Potremmo anche dire che si tratta di un investimento che Dio fa su tutte le cose che non sono di Dio. Ma tutte le cose non appartengono forse all’Altissimo? Il Creatore non è presente in tutto? Certamente, ma questo possesso da parte di Dio deve essere liberamente accolto, scelto, voluto. Dio non si impone all’uomo che ha ricevuto l’universo in dono.
In breve, tutto deve essere ratificato perché essere ad immagine di Dio significa essere liberamente se stessi.
Come avviene tutto questo? Gesù ce lo spiega non offrendoci un trattato di sociologia o di ecclesiologia ma parlando per flash, per immagini semplici ma efficaci.
Dio non entra nel mondo come uno tsunami che travolge tutto, ma come un seme. Un seme con cui propone il Regno alla libertà dell’uomo. Questa proposta germoglia senza violentare la libertà dell’uomo.
Paolo ci dice: “Io ho piantato, Apollo ha innaffiato ma è Dio che ha fatto crescere”. L’uomo non può niente sulla crescita, egli può solo essere d’accordo e dunque assecondarla nel suo corso.
Questa parabola va contro il nostro atteggiamento combattivo da una parte e ansioso dall’altra, contro certe prediche attiviste sulla necessità di lavorare per il Regno. Il lavoro per il Regno è “credere in Colui che ha mandato”, in Colui che ha seminato. Avere fiducia nel Regno che viene, vivere di questo desiderio: “Venga il tuo Regno”. La parabola ci spoglia anche dalla pretesa di essere noi origine, causa e crescita del Regno. Siamo “servi inutili”.
Il secondo flash sul Regno che ci viene presentato da Gesù, mette l’accento sulla straordinaria modestia dell’inizio (il seme) e la grandezza della pianta che si sviluppa nel tempo. Il tempo della crescita è il tempo della prova della fede.
I primi cristiani si preoccupavano della piccolezza della loro Chiesa: “il più piccolo seme del mondo”. Anche oggi nonostante lo sviluppo universale la sua voce è flebile.
E’ la fede che ci salva! La fede che è “garanzia di ciò che si spera e certezza di ciò che ancora non si vede”. Il lavoro del Regno è un lavoro sotterraneo come quello del seme, ci vogliono gli occhi buoni per scoprirne i segni.
Attraverso le parabole Gesù vuol farci entrare nella dinamica del Regno, una dinamica del tutto diversa da quella dei Regni della terra.
La tentazione continua è quella di applicare al Regno di Dio quello che si applica alle cose del mondo, per cui la predicazione diviene propaganda, la comunione muta in un segno di potere, l’adesione al Regno si trasforma nel diritto di essere privilegiati.
Un regno costruito così non ha la garanzia di Dio, si estinguerà nel tempo e le forze dell’inferno prevarranno contro di esso.
Il seme che gettiamo è fertile tuttavia il cristiano deve coltivarlo con cura, evangelizzando sempre.
L’operaio del Regno lavora intensamente e senza preoccupazione. Così asseriva san Karol Wojtyla: “Noi dobbiamo lavorare molto e forte, ma la preoccupazione lasciamola a Maria”.
Ecco perché i contemplativi sono straordinariamente operosi.
Buona Domenica + Giuseppe Mani