Per prima cosa, il Papa ha stretto in un abbraccio il ragazzo nigeriano che gli ha subito confidato di aver trovato a Lamezia Terme, in don Giacomo Panizza e nella sua comunità per minori stranieri, quel riferimento che lo ha portato a essere accolto da una famiglia italiana. Insieme hanno ha recitato l’avemaria, nel ricordo di tutti i migranti morti in mare. E soprattutto nel ricordo di quella piccola siriana: aveva appena sei anni, ha detto il Papa, e non sappiamo neppure quale fosse il suo nome. Ma «ognuno di voi — ha chiesto ai ragazzi calabresi — le dia il nome che vuole, nel suo cuore. Lei è in cielo e ci guarda. Chiudiamo gli occhi, pensiamo a lei e diamole un nome». Con la certezza, ha aggiunto, che la Madonna la stringe in un abbraccio per darle un bacio.
Con i bambini Francesco ha quindi dato vita a un vivacissimo scambio di pensieri su come e perché accogliere i migranti. Prendendo spunto dal disegno di Giuseppe, che il Papa ha chiamato accanto a sé per spiegare la bellezza di un gruppo di bambini, con i colori della pelle diversi, che giocano insieme. E poi il dialogo aperto, senza giri di parole, con Antonio, Guglielmo, Ariston (fuggito dallo Sri Lanka) e Sabba. L’emergenza dei migranti è stata affrontata dal Papa e dai suoi giovani interlocutori a partire dall’immagine evocativa delle onde del mare: quel mare che in Calabria è tanto bello ma che, purtroppo, a volte diventa persino sepolcro per i migranti in cerca di salvezza, di una vita migliore, di un lavoro.
Nel botta e risposta con i ragazzi, il Pontefice ha sollecitato tutti a destarsi dall’indifferenza e a rompere gli indugi per accogliere gli altri come fratelli. L’accoglienza — ha spiegato — significa prendersi cura dell’altro. E a questo proposito ha attualizzato la parabola del buon samaritano, invitando i presenti a compiere gesti concreti di accoglienza: stringere la mano, allargare le braccia e avere anche quella tenerezza che porta a dare un bacio, una carezza.
«I migranti non sono un pericolo, ma sono in pericolo» ha ripetuto il Papa, citando una frase della lettera che gli hanno scritto i bambini per chiedergli di incontrarlo. E su questa verità il Pontefice ha insistito, chiedendo di ripetere più volte e a voce alta: «Non sono un pericolo, ma sono in pericolo». Perché lo straniero non è pericoloso e cattivo. E non deve spaventare solo perché ha un colore diverso della pelle, un cultura o una religione differente. La vita, infatti, è condividere, perché siamo tutti fratelli e abbiamo Dio come padre. Sollecitato da un bambino che gli ha chiesto come si possa dirsi cristiani, andare a messa, e poi rifiutare i migranti, Francesco ha parlato apertamente di ipocrisia. Invitando a non essere egoisti, ma ad avere il coraggio di compiere scelte generose di condivisione. Da parte loro i bambini hanno espresso al Papa la loro indignazione di fronte alla mancata accoglienza che è sempre «un’ingiustizia». E Antonio, dieci anni, è arrivato a dire che le persone che non fanno accoglienza «sono bestie». In realtà — ha precisato il Papa — Antonio non voleva insultare nessuno ma il cuore dell’uomo deve essere capace di tenerezza.
Francesco non ha mancato di ricordare i veri valori del gioco e dello sport, il senso di «fare squadra insieme», riprendendo le parole di una bambina romana secondo cui lo sport insegna l’amicizia, a «non barare e a rispettare il prossimo». E ha risposto alla domanda di un’altra ragazzina romana su cosa prova a essere Papa. Semplice, la risposta: «me lo ha chiesto Gesù».
Il treno con i bambini, un Frecciargento partito da Lamezia stamane alle 6, è arrivato alle 11.20 alla stazione vaticana. Ad accompagnarli la presidente del gruppo Ferrovie dello Stato, Gioia Ghezzi. Ad accoglierli i cardinali Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato, e Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, promotore dell’iniziativa nell’ambito del Cortile dei gentili. I ragazzi sono arrivati cantando «Portati dalle onde», accompagnati anche da sessanta coetanei che fanno parte dell’orchestra Quattrocanti di Palermo, un realtà che sta offrendo grandi opportunità di riscatto a molti giovani proprio attraverso la musica. E da cinquanta rappresentanti dell’associazione romana Sport senza frontiere, impegnata nelle periferie nel garantire opportunità di svago gratuite per favorire l’inserimento sociale.
Fonte News.va
Foto: La Stampa e Osservatore Romano