Per la celebrazione della 46° Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2013, il Santo Padre Benedetto XVI ha scelto questo tema: “Beati gli operatori di pace“.
L’annuale Messaggio del Pontefice, nel complesso contesto attuale intende incoraggiare tutti a sentirsi responsabili riguardo alla costruzione della pace.
Il Messaggio abbraccia, pertanto, la pienezza e molteplicità del concetto di pace, a partire all’essere umano: pace interiore e pace esteriore, per poi porre in evidenza l’emergenza antropologica, la natura e incidenza del nichilismo e, a un tempo, i diritti fondamentali, in primo luogo la libertà di coscienza, la libertà di espressione, la libertà religiosa.
Il Messaggio, inoltre, offre una riflessione etica su alcune misure che nel mondo si stanno adottando per contenere la crisi economica e finanziaria, l’emergenza educativa, la crisi delle istituzioni e della politica, che è anche – in molti casi – preoccupante crisi della democrazia.
Il Messaggio guarda anche al 50° anniversario del Concilio Vaticano II e dell’enciclica di Papa Giovanni XXIII, Pacem in terris, secondo la quale il primato spetta sempre alla dignità umana e alla sua libertà, per l’edificazione di una città al servizio di ogni uomo, senza discriminazioni alcune, e volta al bene comune sul quale si fonda la giustizia e la vera pace. Di seguito si riporta l’omelia del Santo Padre:
«Dio ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto». Così abbiamo acclamato, con le parole del Salmo 66, dopo aver ascoltato nella prima Lettura l’antica benedizione sacerdotale sul popolo dell’alleanza. E’ particolarmente significativo che all’inizio di ogni nuovo anno Dio proietti su di noi, suo popolo, la luminosità del suo santo Nome, il Nome che viene pronunciato tre volte nella solenne formula della benedizione biblica. E non meno significativo è che al Verbo di Dio – che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» come la «luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9.14) – venga dato, otto giorni dopo il suo natale – come ci narra il Vangelo di oggi – il nome di Gesù (cfr Lc 2,21).
E’ in questo nome che siamo qui riuniti. Saluto di cuore tutti i presenti, ad iniziare dagli illustri Ambasciatori del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Saluto con affetto il Cardinale Bertone, mio Segretario di Stato, e il Cardinale Turkson, con tutti i componenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace; ad essi sono particolarmente grato per il loro impegno nel diffondere il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che quest’anno ha come tema «Beati gli operatori di pace».
Nonostante il mondo sia purtroppo ancora segnato da «focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualistica espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato», oltre che da diverse forme di terrorismo e di criminalità, sono persuaso che «le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio. Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alla parole di Gesù Cristo: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9)» (Messaggio, 1). Questa beatitudine «dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo …E’ pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. E’ pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato» (ibid., 2 e 3). Sì, la pace è il bene per eccellenza da invocare come dono di Dio e, al tempo stesso, da costruire con ogni sforzo.
Ci possiamo chiedere: qual è il fondamento, l’origine, la radice di questa pace? Come possiamo sentire in noi la pace, malgrado i problemi, le oscurità, le angosce? La risposta ci viene data dalle Letture della liturgia odierna. I testi biblici, anzitutto quello tratto dal Vangelo di Luca, poc’anzi proclamato, ci propongono di contemplare la pace interiore di Maria, la Madre di Gesù. Per lei si compiono, durante i giorni in cui «diede alla luce il suo figlio primogenito» (Lc 2,7), tanti avvenimenti imprevisti: non solo la nascita del Figlio, ma prima il viaggio faticoso da Nazaret a Betlemme, il non trovare posto nell’alloggio, la ricerca di un rifugio di fortuna nella notte; e poi il canto degli angeli, la visita inaspettata dei pastori. In tutto ciò, però, Maria non si scompone, non si agita, non è sconvolta da fatti più grandi di lei; semplicemente considera, in silenzio, quanto accade, lo custodisce nella sua memoria e nel suo cuore, riflettendovi con calma e serenità. E’ questa la pace interiore che vorremmo avere in mezzo agli eventi a volte tumultuosi e confusi della storia, eventi di cui spesso non cogliamo il senso e che ci sconcertano.
Il brano evangelico termina con un accenno alla circoncisione di Gesù. Secondo la Legge di Mosè, dopo otto giorni dalla nascita, un bambino doveva essere circonciso, e in quel momento gli veniva dato il nome. Dio stesso, mediante il suo messaggero, aveva detto a Maria – e anche a Giuseppe – che il nome da dare al Bambino era «Gesù» (cfr Mt 1,21; Lc 1,31); e così avviene. Quel nome che Dio aveva già stabilito prima ancora che il Bambino fosse concepito, ora gli viene dato ufficialmente nel momento della circoncisione. E questo segna una volta per sempre anche l’identità di Maria: lei è «la madre di Gesù», cioè la madre del Salvatore, del Cristo, del Signore. Gesù non è un uomo come qualunque altro, ma è il Verbo di Dio, una delle Persone divine, il Figlio di Dio: perciò la Chiesa ha dato a Maria il titolo di Theotokos, cioè «Madre di Dio».
La prima Lettura ci ricorda che la pace è dono di Dio ed è legata allo splendore del volto di Dio, secondo il testo del Libro dei Numeri, che tramanda la benedizione usata dai sacerdoti del popolo d’Israele nelle assemblee liturgiche. Una benedizione che per tre volte ripete il nome santo di Dio, il nome impronunciabile, e ogni volta lo collega con due verbi indicanti un’azione a favore dell’uomo: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (6,24-26). La pace è dunque il culmine di queste sei azioni di Dio a nostro favore, in cui Egli rivolge a noi lo splendore del suo volto.
Per la Sacra Scrittura, contemplare il volto di Dio è somma felicità: «Lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto», dice il Salmista (Sal 21,7). Dalla contemplazione del volto di Dio nascono gioia, sicurezza e pace. Ma che cosa significa concretamente contemplare il volto del Signore, così come può essere inteso nel Nuovo Testamento? Vuol dire conoscerlo direttamente, per quanto sia possibile in questa vita, mediante Gesù Cristo, nel quale si è rivelato. Godere dello splendore del volto di Dio vuol dire penetrare nel mistero del suo Nome manifestatoci da Gesù, comprendere qualcosa della sua vita intima e della sua volontà, affinché possiamo vivere secondo il suo disegno di amore sull’umanità. Lo esprime l’apostolo Paolo nella seconda Lettura, tratta dalla Lettera ai Galati (4,4-7), parlando dello Spirito che, nell’intimo dei nostri cuori, grida: «Abbà! Padre!». E’ il grido che sgorga dalla contemplazione del vero volto di Dio, dalla rivelazione del mistero del Nome. Gesù afferma: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini» (Gv 17,6). Il Figlio di Dio fattosi carne ci ha fatto conoscere il Padre, ci ha fatto percepire nel suo volto umano visibile il volto invisibile del Padre; attraverso il dono dello Spirito Santo riversato nei nostri cuori, ci ha fatto conoscere che in Lui anche noi siamo figli di Dio, come afferma san Paolo nel brano che abbiamo ascoltato: «Che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo figlio, il quale grida: Abbà! Padre!» (Gal 4,6).
Ecco, cari fratelli, il fondamento della nostra pace: la certezza di contemplare in Gesù Cristo lo splendore del volto di Dio Padre, di essere figli nel Figlio, e avere così, nel cammino della vita, la stessa sicurezza che il bambino prova nelle braccia di un Padre buono e onnipotente. Lo splendore del volto del Signore su di noi, che ci concede pace, è la manifestazione della sua paternità; il Signore rivolge su di noi il suo volto, si mostra Padre e ci dona pace. Sta qui il principio di quella pace profonda – «pace con Dio» – che è legata indissolubilmente alla fede e alla grazia, come scrive san Paolo ai cristiani di Roma (cfr Rm 5,2). Niente può togliere ai credenti questa pace, nemmeno le difficoltà e le sofferenze della vita. Infatti, le sofferenze, le prove e le oscurità non corrodono, ma accrescono la nostra speranza, una speranza che non delude perché «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).
La Vergine Maria, che oggi veneriamo con il titolo di Madre di Dio, ci aiuti a contemplare il volto di Gesù, Principe della Pace. Ci sostenga e ci accompagni in questo nuovo anno; ottenga per noi e per il mondo intero il dono della pace. Amen!
Fonte: www.vatican.va