Il Vaticanese

Gesù è il Buon Pastore

gesu-buon-pastore-vaticanesea cura di Mons. Renzo Giuliano/

Gesù è il buon pastore: è una figura archetipa di cui non possiamo fare a meno, anche se ci pare arcaica. La fede lo richiede: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuseppe ed i suoi fratelli, Mosè, uomini di Dio che hanno fatti i pastori. I farisei si ritenevano, invece, capi del popolo, loro organizzatori che mettevano regole di legge che nemmeno loro osservavano, nervosi ed intransigenti custodi del popolo, senza misericordia.

Cosa comporta la bontà del pastore? Anzitutto dare la propria vita per le pecore.

Se uno si prende una responsabilità di fede e di vita la deve condurre “fino alla fine”; non può scaricarla perché sopravvengono altri impegni. Non ci si volge indietro. Gesù pastore, sulla croce, non è sceso dalla croce, gesto per il quale moltissimi allora avrebbero creduto. Gesù rimane fedele sempre al gregge, soprattutto quando il gregge, come apostoli e discepoli, lo hanno abbandonato. Questa è libertà autentica.

“Dare la vita” ha il sapore di gustare il senso del “dono” gratuito, senza ricompensa o gratificazione alcuna. Il pastore non è un mercenario.

Segue la conoscenza reciproca, non superficiale; “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” e questa si calibra secondo la fede, la più profonda, quella che ci conduce nel seno della relazione trinitaria: “così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. La conoscenza del cuore e non del carattere che determina limiti e pregi di una persona! Questa è libertà intelligente.

Si aggiunge l’attitudine e l’atteggiamento concreto di “ascoltare la voce”. Leggere per conto proprio non permette di captare le vibrazioni, le sfumature, le intensità reali, profonde ed anche segrete di chi, davanti a te, invece sta parlando e parla perché è vivo, e tanto più, come Cristo-pastore, ha lo Spirito da dare: e lo Spirito è soffio di vita, se ne vuoi fare esperienza.

“Il Vangelo è una buona notizia che deve essere diffusa non con la penna, ma con la bocca” (Lutero) e ciò perché è Parola vivente di un Risorto vivente!

Solamente l’“ascolto della voce”, come incontro di realtà vive, fa diventare “un solo gregge” e addirittura “un solo pastore”: è il segreto comunicativo dell’amore e dell’unità non intellettualizzata. Questa è libertà per la comunione.

Da queste indicazioni ben chiare deve scaturire la pastorale per la nostra comunità. Forse un po’ o troppo idealistica? Gesù la dovrebbe adattare alla gente per essere “pastorale”. Gesù la adatta, ma la adatta alla parola del Padre, che di gregge ne conosce. Dio è il Pastore supremo.

Conclude Gesù Risorto: “Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”. E’ Dio Padre che disegna la linea pastorale e Gesù la osserva con obbedienza e come comando. Anche noi cerchiamo di osservarla, se vogliamo impiantare una pastorale guidata da Dio e non da noi.

Affidarsi a questo Pastore Risorto ed a questa sua pastorale da risorti plasma il cuore di bontà sincera e costruttiva.

Foto: Chiesedisicilia.it

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