A cura di Don Ennio Stamile
Quello che ci prepariamo a vivere in queste ore è uno dei più sanguinosi Natali degli ultimi anni. L’ultimo attentato terroristico di Berlino, un déjà-vu dell’orrore dopo quello di Nizza, ha provocato lutti, sofferenza, sconcerto e rabbia, ancora una volta nel cuore dell’Europa. A questi 13 morti e feriti gravi vanno aggiunti i 4.900 migranti morti in mare, i 631 morti sul lavoro (1330 se si considerano anche coloro che sono morti sulle strade mentre si recavano al posto di lavoro) le migliaia di vittime civili nelle città siriane, a Mosul e nei 45 altri Paesi che nel mondo soffrono il dramma della guerra, in questo 2016 che sta per concludersi. Un “annus horribilis” anche questo, non meno di quello descritto da Giorgio Bocca, nel volume dall’omonimo titolo, che è stato il 2009 per ragioni che ben conosciamo e di cui ancora oggi ne sentiamo il peso e le conseguenze. Ma il Natale è arrivato anche quest’anno, nonostante tutto! Arriva ogni anno puntuale e “costringe molti” ai soliti addobbi che in fretta bisogna allestire, ai regali che con altrettanta fretta bisogna acquistare. Uno scrittore statunitense, Richard Bach, ricordava qualche anno fa che “ogni regalo è un augurio di felicità”, rischiamo di perdere di vista, o forse lo abbiamo già perso, uno dei significati del dono, presi come siamo dalla frenesia della nostra quotidianità.
Un tempo si parlava del senso “mistico del Natale”. Forse oggi dovremmo parlare più che di senso “mistico”, di “consu-mistico”. La mistica, anche etimologicamente fa riferimento al mistero, quel mistero di cui siamo spesso inconsapevoli portatori che è la nostra stessa umanità. Ebbene, una delle citazioni più riprese nei numerosissimi scritti di San Giovanni Paolo II è proprio il n°22 della Gaudium et spes: “solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”. Anche qui come si vede risuona la parola “mistero”, di cui oggi si è perso il gusto del suo significato più profondo. Mistero, vuol dire trovarsi di fronte ad un avvenimento immensamente più vasto, più profondo delle nostre capacità intellettive. Significa trovarsi di fronte ad una luce così abbagliante che gli occhi dello spirito umano non riescono a sopportare tale intenso bagliore e si chiudono. Si chiude la mente, la ragione, che pur dovrebbe penetrarlo in profondità, ridurlo in suo potere poterlo finalmente com-prendere, ma questo però le sfugge, ne supera sempre i limiti. Se la mente si chiude, resta però aperto il cuore. Resta aperto a manifestare una sete, una voglia di rimanere almeno sulla soglia del mistero per continuare a sentirne il desiderio, l’attrattiva, che poi non è altro che quell’innato desiderio d’infinito che Dio ci ha posto nell’anima perché servisse da costante richiamo nel nostro cammino verso di Lui. Il periodo delle feste natalizie si chiude con la grande feste dell’Epifania.
In essa ci vengono presentati alcuni Magi, personaggi “misteriosi”, per questo ancora mantengono intatto il loro fascino. Su di loro davvero in tanti nel corso di questi duemila anni hanno scritto, segno evidente che hanno sempre qualcosa da comunicarci anche oggi nel nostro distratto e “distrutto” mondo. Non erano maghi, quella sottospecie di cialtroni che continuano ad attrarre migliaia di persone, fino a quando il “magico”si trasforma in “tragico”. Erano invece dei sapienti venuti dall’Oriente, cercatori di luce, quindi di senso, di verità. Mai paghi delle loro ricerche e capaci con-siderare, di stare-con-le-stelle, non solo osservare e ricercare ciò che esiste, ma anche chiedersi cosa significhi, arrivare al senso delle cose, del loro mistero, appunto. La domanda di senso è espressa da quel dove: “dov’è il re dei giudei che è nato”. Tale domanda di senso ci dice innanzitutto che ognuno di noi è pellegrino, perché in cerca del suo “Dove”, solo qui siamo a casa.
Il pellegrinare dei Magi li conduce a quella grotta di Betlemme, dove anche la luce della stella si ferma. Quel bambino nato più di duemila anni fa è la vera luce del mondo e la affida a ciascuno di noi perché possa essere luce e non tenebra, amore e non idolo dell’avere, del potere e dell’apparire. Se il nostro fine è Dio, diventiamo come lui, altrimenti come gli idoli in cui crediamo, “che hanno occhi e non vedono, orecchie e non odono, lingua e non parlano”, dice il salmista. Proprio la vicenda dei Magi e di Erode che si serve degli scribi e del loro sapere per uccidere quel bambino, ci insegna che davvero di tutto può servirsi il male, persino della “religione” o della scienza. Può considerare sempre a suo servizio gli indifferenti o gli integralisti più intransigenti e i mafiosi più “pii” che ostentano statue e santini in ogni dove. Una religione, una scienza, un’associazione che non ama l’uomo ed il suo mondo è sempre “anticristica”, quindi diabolica, antiumana.
Ma i magi ci insegnano il senso del dono, addirittura oltre l’augurio di felicità. Attraverso di esso ognuno di noi comunica e dona se stesso. I magi con oro, incenso e mirra, hanno donato la loro ricchezza, desiderio e fragilità, aprendo così lo scrigno del loro cuore capace di pulsare al ritmo dell’amore, hanno ricevuto in dono il Figlio generato dal Padre. Solo donando ciò che siamo riceviamo “Colui che era, che è e che viene”, Cristo il Figlio di Dio, e diventiamo come lui, più liberi, autentici costruttori di pace, di ponti e non di muri.
Buon Natale a tutti.