Standard & Poor’s non è convinta che la manovra basterà e vede un governo fragile. Per questo l’agenzia di rating americana ha deciso di tagliare il suo giudizio sul credito dell’Italia da A+ ad A. Il declassamento, annunciato dopo la mezzanotte di lunedì, non era previsto. Ci si aspettava che fosse Moody’s ad annunciare un taglio, lo scorso fine settimana, perché scadevano i tradizionali 90 giorni che separano l’avvio della procedura di revisione dalla decisione definitiva. Invece Moody’s ha preso tempo fino a ottobre, e si è mossa S&P che da maggio aveva messo sotto osservazione per un possibile ribasso il debito italiano. Era già l’agenzia più severa con Roma: il suo A oggi è di tre scalini inferiore all’Aa2 di Moody’s e di due gradi inferiore all’AA- di Fitch.
L’agenzia di rating ha spiegato che la sua decisione riflette «la percezione di un indebolimento delle prospettive di crescita dell’economia italiana e del fatto che la fragile coalizione di governo italiana e le distanze politiche all’interno del Parlamento probabilmente continueranno a limitare l’abilità del governo nel rispondere con decisione alle sfide macroeconomiche interne ed esterne».
La manovra del governo non convince S&P perché secondo l’agenzia la crescita sarà inferiore alle previsioni, perché due terzi dei 60 miliardi previsti verranno dalle tasse «in un Paese che ha già un alto carico fiscale» e perché i tassi di interesse tenderanno a salire. In nessuna delle previsioni di S&P l’Italia raggiungerà il pareggio di bilancio entro il 2014. L’agenzia ha naturalmente rifiutato di partecipare allo scontro politico che la sua decisione ha provocato: «I rating sovrani di Standard & Poor’s – ha ricordato in una nota – sono valutazioni apolitiche e prospettiche del rischio di credito fornite agli investitori». Mertiz Kraemer, l’analista dell’agenzia chiamato a rispondere alle domande degli analisti su questa decisione, ha poi spiegato che senza un’accelerazione della crescita dell’Italia c’è un rischio «ragionevole» (una probabilità su tre) di un nuovo taglio del rating «nei prossimi 12-18 mesi».
Con il declassamento di ieri l’Italia ha un rating inferiore a quello di Repubblica Ceca e Slovacchia (entrambe A+) e pari a quello della Polonia. Una A di S&P dimostra comunque «una forte capacità di rispettare gli impegni finanziari, ma con una certa sensibilità alle condizioni economiche avverse e ai cambiamenti di circostanze».
L’annuncio ha ovviamente peggiorato lo scenario sul futuro della zona euro. Anche se la Cina ha confermato che la sua fiducia nell’Eurozona è intatta, e un rapporto di Fitch ha definito «largamente esagerati» i timori sulla fine della moneta unica.