Avvenire – Trasparenza nell’uso dei fondi, ruolo rafforzato dei vescovi nell’organizzare le attività caritative, nel stimolarle e garantirne efficacia e operatività, sono richiesti dal Motu proprio del Papa “De Caritate ministranda”, pubblicato oggi. Si tratta di un documento che completa un iter di circa due anni di lavoro e nasce da uno spunto della enciclica di Benedetto XVI, “Deus
Caritas est”.
Il testo ribadisce che “il servizio della carità è una dimensione costitutiva della Chiesa ed è espressione
irrinunciabile della sua stessa essenza”. Per evitare che in materia di carità i fedeli vengano “indetti in errore o in malintesi”, il motu proprio chiede ai vescovi di “impedire che attraverso le strutture parrocchiali o diocesane vengano pubblicizzate iniziative che, pur presentandosi con finalità di carità, proponessero scelte o metodi contrari all’insegnamento della Chiesa”.
Ricordando il valore della “testimonianza di sobrietà cristiana” che la Chiesa deve dare anche nelle attività
caritative, il Papa chiede al vescovo “a tale scopo” di vigilare “affinchè stipendi e spese di gestione, pur rispondendo alle esigenze della giustizia e ai necessari profili professionali, siano debitamente proporzionate ad analoghe spese della propria curia diocesana”.
Nel documento papale c’è anche un punto che ricorda come il vescovo diocesano sia “tenuto, se necessario, a rendere pubblico ai propri fedeli il fatto che l’attività di un determinato organismo di carità non risponda più alle esigenze dell’insegnamento della Chiesa, proibendo l’uso del nome “cattolico” ed adottando i provvedimenti pertinenti ove si profilassero responsabilità personali”.