“Il Vaticano stavolta minacciava querele, ma è stato il richiamo al rispetto del Papa a convincere Benetton a ritirare, dalla sua ultima campagna pubblicitaria shock, l’immagine del pontefice che bacia l’imam del Cairo“.
Queste sono le parole del Quotidiano “La Repubblica” all’alba dello scandalo internazionale suscitato dall’esposizione di un montaggio grafico che mostra le immagini del Sommo Pontefice Benedetto XVI e dell’Iman de Il Cairo che si baciano appassionatamente. Benetton, si sa, ha sempre scelto una chiave pubblicitaria forte e colorata, a volte scioccante attraverso la quale aprire una finestra del suo Brand sulla società civile. Vi è sempre più o meno riuscita e, per certi versi, bisogna dirlo, ha anticipato con le sue immagini “forti” i colori intensi e contrastanti di una società sempre più multietnica e globalizzante che dipinge di mille razze e culture le nostre città.
Una grande Azienda come Benetton, però, oggi entra in contrasto con le religioni e si assume la responsabilità di essere autrice di una immagine che, di fatto, non esprime esigenza di pace ma solo ed esclusivamente una meschina voglia di esporre il proprio marchio a qualsiasi costo, anche a costo di non rispettare le religioni e, diciamolo, a costo di iniziare a perdere punti sul mercato. In che senso? nel senso spicciolo: chi scrive, per fare un esempio, dopo avere preso atto di questa campagna pubblicitaria, ha deciso di non acquistare più prodotti che portano la firma della famiglia Benetton. E come lui (sempre il redattore dell’articolo), ha scoperto di non essere il solo ad avere avuto questa idea. Ciò significa che la famiglia Benetton sul prossimo bilancio non potrà contare sulle nostre risorse finanziarie per pagare, magari, una nuova campagna pubblicitaria non più colorata ma grigia e perdente.
La domanda è: quanto perderà l’impero Benetton per questa campagna pubblicitaria errata? Molto! E per questo abbiamo ascoltato giovani e meno i quali si sono dichiarati delusi dal fatto che la famiglia Benetton, in un momento di grave difficoltà della storia umana in ambito mondiale, possa giungere ad utilizzare anche l’immagine della fede in cambio di una crescita finanziaria non più testimone colorata dell’oggettività della vita, ma irrispettosa delle più intime e delicate scelte dell’essere vivente come, appunto, lo sono le scelte religiose e di fede.
Una cosa è certa: fino a ieri Benetton era simbolo di colore; oggi Benetton è anche il simbolo del mancato rispetto di questioni importanti, d’interesse collettivo, della religione, non solo cattolica.
Tratto da disinformazione.it pubblichiamo un profilo tratto dal libro “Guida al vestire Critico” che descrive l’Impero di Benetton. Non sarà difficile comprendere che una cattiva idea pubblicitaria, a volte, non è solo frutto del caso.
Benetton è una multinazionale a controllo italiano. Opera principalmente nel settore dell’abbigliamento casual e dei tessuti. Possiede i marchi United Colors of Benetton, Sisley, Playlife, Killer Loop, Undercolors.
A seguito dell’accordo con Mattel (avvenuto nel maggio 2005). Benetton realizza e vende nei propri negozi la linea di abbigliamento per bambine “Barbie loves Benetton”.
I suoi marchi si trovano applicati anche su prodotti diversi da quelli dell’abbigliamento in virtù di contratti di licenza. Fra le imprese che hanno ottenuto la licenza possiamo citare l’azienda turca Zorlu Holding per la biancheria, la francese Selective Beauty per i profumi, la milanese Siport per le scarpe da bambini. Ha contratti di licenza anche con aziende che producono gioielli, profilattici e cartoleria.
Il gruppo è composto da 55 società, 40 delle quali con sede all’estero. Le società del gruppo si possono dividere in tre categorie: quelle di natura commerciale, quelle addette alla filatura e tessitura, e quelle che si occupano del confezionamento. Quelle di natura commerciale sono il maggior numero e per la maggior parte si trovano all’estero.
Quelle tessili sono Olimpias e Filatura di Vittorio Veneto, che posseggono vari stabilimenti nell’Italia Settentrionale e nei dintorni di Firenze e Salerno. Quelle del confezionamento sono dislocate in parte in Italia e in parte all’estero. in Italia le principali sono Benind, Bentec e Bencom che si dedicano alla progettazione, al rapporto con i terzisti, ai controlli di qualità e alla rete di vendita. All’estero le società più importanti sono Benetton Slovacchia, di cui non conosciamo le attività, Benetton Ungheria, che coordina la produzione effettuata tramite terzisti nell’Europa dell’Est, Benetton Croazia, che si dedica principalmente al confezionamento dei vestiti in lana, Benetton TextilConfeccao, che confeziona vestiti in Portogallo, e Benetton Tunisia, che ha un duplice ruolo di tintoria e di coordinamento della produzione tramite terzisti in Nord Africa.
La capogruppo è Benetton Group Spa, posseduta per il 67% dalla famiglia Benetton attraverso la società Edizione Holding, che rappresenta la cassaforte finanziaria della famiglia.
Edizione Holding si trova al vertice di numerosi gruppi e numerose società finanziarie utilizzate per effettuare operazioni di vario genere. Una di queste è “21 investimenti” attraverso la quale opera in una ventina di società tra cui Meccano, Sisal, StradeBlu. Fra i gruppi più importanti partecipati direttamente da Edizione Holding troviamo Maccarese Spa gruppo immobiliare (100%) Autogrill Spa (57%), Autostrade Spa (37%), Olimpia Spa (16%) che controlla Telecom Italia, Grandi Stazioni Spa (13%), Sagat Spa (24%) che gestisce l’aeroporto di Torino, Pirelli & C. Spa (3,93%), Banca Popolare Antonveneta (4,86%). Edizione Holding controlla anche il 24,5% del capitale della Sep, casa editrice del quotidiano “Il Gazzettino”. Inoltre ha possedimenti terrieri all’estero. In Argentina, ad esempio, tramite la società Compania de Tierras Sud Argentina SA possiede una estensione grande come tutta l’Umbria su cui alleva 300.000 pecore da lana.
I dipendenti di Benetton Group sono 7.500, di cui 2.500 in Italia. Questi ultimi sono occupati in gran parte nelle sedi centrali di Ponzano e Castrette, gli altri negli stabilimenti tessili e nei negozi. A Castrette (Treviso) si trova il centro operativo che occupa 920 dipendenti. Precisato che per l’abbigliamento Benetton si avvale quasi totalmente di terzisti, a Castrette sorge il centro logistico che acquista sia la stoffa, assegna la produzione ai terzisti, riceve i prodotti finiti, esegue i controlli di qualità e invia la merce ai punti vendita. In Italia i terzisti sono 500, localizzati, oltre che in Veneto, in Puglia, Basilicata, Abruzzo, Campania e Calabria.
Benetton ha creato all’estero tre sottopoli logistici: uno in Ungheria, uno in Croazia e uno in Tunisia. Il principale è quello ungherese che impiega 400 persone. Riceve gli ordini produttivi da Castrette e li assegna a centinaia di terzisti localizzati in Europa dell’Est. Dopo di che rispedisce i prodotti finiti in Italia. Funzioni analoghe sono svolte anche dal polo tunisino e croato, seppur in tono minore e per attività più specifiche.
Nel complesso i lavoratori occupati dai terzisti di Benetton sono 27.000, di cui 7.400 in Italia, 14.500 in Europa dell’Est e 5.000 in Tunisia. L’obiettivo di Benetton è di accrescere la quota di produzione all’estero, che nel 2004 rappresentava già il 70%.
Benetton si sta strutturando anche in Asia, perché rappresenta un mercato in espansione. In India, ad esempio, ha fondato una società assieme a investitori nazionali per creare un polo produttivo locale. Nel contempo ha aperto una sede a Hong Kong per coordinare tutte le attività produttive e commerciali dell’area asiatica, inclusa la Cina.
Nel 2004 il gruppo Benetton ha fatturato 1,69 miliardi di euro, dei quali l’85,1% realizzati in Europa, il 10,3% in Asia, il 4,3% in America, lo 0,3% nel resto del mondo. Nel 2004 Benetton ha speso 52 milioni di euro in pubblicità. Ha ottenuto utili per 123 milioni di euro.
In totale, nel 2004, i gruppi controllati da Edizione Holding (compreso Benetton Group) hanno ottenuto ricavi per 4,95 miliardi di euro.
La rete commerciale di Benetton, presente in 120 paesi, comprende 5 mila punti vendita a insegna propria, per la maggior parte concessi in franchising. Il Gruppo Percassi di Bergamo, socio in Italia di Zara, gestisce in franchising un centinaio di negozi Benetton.
Il gruppo ha la direzione a Ponzano Veneto, in provincia di Treviso.
COMPORTAMENTI
Trasparenza: Non ha risposto al nostro questionario.
Gli accordi stipulati nel 1978, 1999 e 2004 vincolano l’azienda a fornire al sindacato l’elenco delle imprese partecipate, dei terzisti italiani e dei siti produttivi esteri collegati al gruppo.
Lobby: Edizione Holding controlla il 24,5% del capitale dalla Sep, casa editrice dei quotidiano “ll Gazzettino” (www.agcom.it).
Lavoro: Benetton ottiene parte dei suoi prodotti da terzisti localizzati in Cina, paese che vieta ogni libertà sindacale. Inoltre ha collegamenti produttivi con Argentina, India, Lituania, Turchia, Ucraina, Ungheria, paesi che ostacolano fortemente le libertà sindacali (“Corriere del Veneto”, 13 maggio 2004; Bilancio 2004).
Il 16 aprile 2003 si è concluso il processo promosso da Benetton contro Riccardo Orizio, giornalista del “Corriere della Sera” che nell’ottobre 1998 aveva pubblicato un servizio sulla presenza di lavoro minorile alla Bermuda e alla Gorkem Spor Giyim, due fabbriche turche che producevano abbigliamento a marchio Benetton. Di professione terziste, non lavoravano direttamente per Benetton Group, ma per il suo licenziatario turco Bogazici Hazir Giyim. Il servizio, che conteneva nomi, cognomi e foto, pose Benetton in grande imbarazzo anche perché l’articolo attribuiva al proprietario della Bermuda la seguente dichiarazione: “I rapporti tra noi e l’azienda italiana sono amichevoli e di intensa collaborazione. Loro sono i miei principali clienti”. L’articolo affermava anche che i capi di vestiario prodotti alla Gorkem recavano l’etichetta “Made in Italy”. Per difendere la propria immagine, Benetton querelò Riccardo Orizio per diffamazione. In base alla documentazione presentata dal “Corriere della Sera” e a dichiarazioni rese dai testimoni, il Tribunale ha sentenziato che: “L’utilizzo, nelle aziende subfornitrici del licenziatario turco di Benetton, di lavoratori-bambíni” è “circostanza risultata sostanzialmente provata“. Tuttavia ha condannato Orizio a 800 euro di multa, perché ha sbagliato nell’”affermare in modo perentorio che in una di queste aziende venissero prodotti capi con il marchio made in Italy per conto dell’azienda italiana” (“Corriere della Sera”, 12.10.1998 e 21.05.2003).
Nel 2003 Benetton ha adottato un codice etico e di condotta, che però non prevede il rispetto dei diritti dei lavoratori come criterio di selezione dei fornitori. In esso si afferma che “la selezione dei fornitori (…) è dettata da valori e parametri di concorrenza, obiettività, concorrenza, imparzialità, equità nel prezzo“. Agli impegni diretti, Benetton ha sempre preferito formulazioni generiche, come quella assunta nell’accordo sindacale del 1994 attraverso il quale riconosce che il lavoro presso i terzisti deve svolgersi nel rispetto dei diritti fondamentali. Il documento cita tutti i temi più rilevanti, ma sotto forma di elenco senza alcuna specificazione. Non c’è riferimento alle convenzioni dell’OIL, non si cita il salario vivibile, non si parla di forme stabili di assunzione. Per quanto riguarda il sistema di controllo, in un successivo accordo sindacale dei 1999 è espressa l’intenzione di dotarsi di un sistema di monitoraggio interno rafforzato da valutatori esterni. A tutt’oggi non sappiamo cosa abbia messo in atto, benché nel 2004 Benetton abbia firmato un nuovo accordo sindacale in cui accetta di comporre una commissione che verifichi lo stato di attuazione dell’accordo del 1994 e il sistema di monitoraggio.
Società. Dal 1991 la famiglia Benetton è proprietaria di 900.000 ettari in Patagonia (Argentina), attraverso la società Compania de Tierras. La proprietà è contestata dalla popolazione Mapuche, originaria della regione, ma oggi confinata in zone periferiche. A più riprese i Mapuche hanno rivendicato il diritto a tornare sulle loro terre e per questo si sono scontrate con l’azienda dei Benetton. L’ultimo contenzioso, in ordine di tempo, ha avuto inizio nel 2002. La famiglia Curinanco, ridotta alla fame, era tornata nel suo luogo di origine, stabilendosi, con il benestare dell’autorità pubblica, in un’area che fa parte dei possedimenti Benetton. Per tutta risposta l’azienda ha fatto sgomberare la famiglia con la forza e l’ha citata in giudizio. Il caso si è chiuso nel 2004 con una sentenza di condanna per la famiglia occupante.
Benché il processo non sia stato favorevole alla famiglia Curinanco, ha avuto il merito di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla situazione dei Mapuche. Infatti nel luglio 2004, lo stesso Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la pace, ha scritto a Benetton per chiedere la restituzione di alcune terre. Benetton, pur contestando la richiesta dei Mapuche, si è dichiarato disponibile a cedere alcune terre comprese quelle occupate dalla famiglia Curinanco. Ma nell’agosto del 2005 non erano ancora stati fatti passi concreti. (“Azkintuwe Noticias”, 3 agosto 2005, tradotto da Alejandra Bariviera per www.peacelink.it; “L’Altracittà”, dicembre 2004; 1a Repubblica”, 12 luglio 2004).
Forniture all’esercito: Nel febbraio 2003, a ridosso della guerra in Iraq, fece scalpore la notizia apparsa su “ La Repubblica “, in base alla quale la nave italiana “Strada Gigante”, posseduta da una società di trasporti partecipata dalla famiglia Benetton, trasportava materiale bellico per conto dell’esercito britannico (“ La Repubblica “, 27 febbraio 2003).
Consumatori: Fra il novembre 2002 e il marzo 2004, Benetton è stata censurata a più riprese dallo IAP per messaggi pubblicitari che violavano il codice di autodisciplina. In particolare i messaggi di Sisley sono stati ritenuti contrari agli articoli 1 (lealtà pubblicitaria), 9 (violenza, volgarità, indecenza) e 10 (convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona) (Ingiunzioni n. 231/2002 dell’8 novembre 2002, n. 53/2004 del 5 febbraio 2004 e n. 83/2004 del 5 marzo 2004).
Illeciti: Nel 2004 l ‘Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha multato Edizione Holding/Autostrade Spa per irregolarità nelle gare di appalto indette per le aree di ristoro. Di fatto è stata favorita Autogrill, che è un’altra società dell’impero Benetton. La multa è stata di 6,79 milioni di curo (“Bollettino AGCM”, n. 46 del 29 novembre 2004).
Animali: Nell’ottobre 2004 l ‘associazione animalista PETA ha lanciato una campagna nei confronti di Benetton per convincerla a non comprare più lana dall’Australia. In questo paese, infatti, viene adottata una pratica, chiamata mulesing, che oltre ad asportare la lana, taglia via pezzi di pelle dal corpo degli animali. Quando non sono più utili per la lana, le pecore sono inviate in Medio Oriente per essere macellate secondo il rito islamico. Il viaggio avviene su imbarcazioni scoperte, in condizioni indecenti (www.unitedcrueltyofbenetton.com).
Paradisi fiscali: Benetton ha filiali in Corea del Sud, Hong Kong, Lussemburgo, Svizzera, considerati paradisi fiscali dalla legislazione italiana (Bilancio 2004).