a cura di S.E. Mons. Giuseppe Mani/
“Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste”. La Parola del Signore ci lasca più che perplessi: increduli e paralizzati. Forse Gesù non ricorda in che condizione ha lasciato il mondo quando se n’è andato? Gesù mette il dito sulla piaga, lo sa e lo fa espressamente. Conosce bene il mondo in cui è e conosce il cuore dell’uomo come lo hanno conosciuto i profeti “complicato e malato”(Geremia). Il peggio per noi cristiani e che dopo due mila anni di cristianesimo sembra non essere cambiato niente. Il male è sempre all’opera e con metodi rinnovati. L’esempio dei cristiani, a titolo personale e comunitario lungo la storia autorizza un giudizio severo: non abbiamo saputo resistere alle seduzioni del potere, alle forze sporche e alla violenza. Se fossimo stati perfetti non è detto che il mondo sarebbe stato migliore, certamente non possiamo provare il contrario. Attenzione alle autoflagellazioni di cattivo gusto. Si tratta di un superficiale esame di coscienza ma non è a caso che San Giovanni Paolo II avendo percepito l’urgenza di fare il punto di duemila anni di storia e di porre qualche gesto profetico, ha pensato a quello di chiedere perdono. Il problema esiste. Come rinnovare l mondo? Da tutte le parti si trovano tensioni e guerre e dobbiamo rilevare che le religioni non sono state sempre partigiane di pace. Addirittura l’uomo ha strumentalizzato anche Dio a suo profitto.
“Siate misericordiosi come il Padre vostro celeste è misericordioso”. Dio conosce il peccato dell’uomo ma nonostante tutto insiste sulla decisione dei suoi discepoli che il loro si a Cristo deve essere un si. Per quelli di Cristo però c’è una differenza. San Paolo invita i cristiani a non avere tra di loro altra rivalità che quella dell’amore fraterno, perché è di amore che si tratta. Da questa la versione dello stesso concetto espresso da Gesù che ci propone San Luca. Per Luca “Siate perfetti” è tradotto: ”Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli”. La cosa è originale perché tutti gli spiriti religiosi hanno della santità un’immagine particolare. Chi la pensa come una grande austerità di vita, chi come un grande rigore, chi come una reale gravità, altri come una fedeltà piena e intera a ciò che uno crede e soprattutto una fedeltà assoluta alle pratiche dell’osservanza della religione. Come si vede la parte riservata all’amore è ben poca e invece è proprio l’amore che fa la differenza. La santità non consiste in ciò che è esteriore ma in ciò che è interiore. La legge osservata senza amore non vale niente. L’amore è il termine della parola del Signore e della sua legge.
E’ sconcertante mettere l’accento sull’esigenza divina dell’amore : eppure è su questo che si gioca la vita umana, la sua riuscita, il suo compimento. San Paolo lo dice chiaramente: “anche se tu dessi il tuo corpo alle fiamme se non hai la carità non serve a nulla”. E Gesù è ancor più radicale perché è sull’amore che giochiamo la nostra vita. Il solo appuntamento del nostro cuore è con l’amore di Dio e ciò che ci attende è l’esperienza cocente che non sappiamo amare come Gesù ama. Ciò che conta è prendere sul serio il comandamento dell’amore.
Saremo giudicati sull’amore. Mille sono le occasioni giornaliere per esercitare l’amore verso Dio e verso i fratelli. Aver l’ambizione della santità e mettercela tutta per realizzarla è l’oggetto stesso della nostra vita. Gesù ci dice che questo progetto corrisponde esattamente al nome di amore e misericordia. La radicalità del comandamento del Signore si confronta con le nostre resistenze e le nostre pesantezze e ,magari, con le nostre false esigenze religiose.
“Alla sera della vita sarai giudicato giudicato sull’amore”. Su questo e su nient’altro.