Con la prolusione del cardinale presidente, Angelo Bagnasco, ha preso il via ieri a Roma la sessione invernale del Consiglio permanente della Cei. L’arcivescovo di Genova ha offerto ai membri del “Parlamentino” dei vescovi italiani una lettura a 360 gradi della situazione del Paese e dei temi dell’attualità ecclesiale, soffermandosi da un lato sulla crisi con i suoi risvolti politico-sociali, dall’altro sottolineando come per la Chiesa oggi «la sfida pastorale» più importante sia proprio «la questione della fede». Del discorso del porporato, che Avvenire pubblica integralmente nelle pagine seguenti, si offrono qui alcuni spunti tematici, i quali danno corpo a quella speranza di fondo con cui Bagnasco permea l’intero discorso, arrivando ad affermare: «Mai nulla va considerato perso del tutto». I lavori del Consiglio permanente si concludono giovedì.
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«Oggi c’è da salvare l’Italia e c’è da far sì che i sacrifici che si vanno compiendo non abbiano a rivelarsi inutili»; è un passaggio della Prolusione che il cardinale Bagnasco ha pronunciato questo pomeriggio a Roma, all’apertura del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana.
Dopo una introduzione in cui descrive la vitalità della comunità cristiana italiana, così come si è vista nella forte partecipazione alle recenti celebrazioni natalizie, il cardinale Bagnasco ricorda l’importanza dell’Anno della fede, indetto dal Papa con inizio il prossimo ottobre, che sarà vissuto come «contenitore coerente per ricorrenze come l’avvio dei lavori del nuovo Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione o per il prossimo Sinodo mondiale dei vescovi».
La Prolusione entra poi nel cuore dei problemi generati dalla crisi economica che da almeno 4 anni scuote il mondo e che ha messo in discussione l’dea stessa di progresso. Bagnasco chiede alla classe intellettuale italiana di aprire un confronti libero sul tema della speculazione, del senso del profitto e sul ruolo della politica come regolatrice della finanza.
Entrando poi nello specifico italiano, Bagnasco lancia due spunti: «L’incapacità provata di pervenire nei tempi normali a riforme effettive e l’incapacità, con questo sistema politico, di pervenire in modo sollecito a decisioni difficili allorché queste si impongono». Per sbrogliare una «matassa divenuta troppo complicata» ecco allora che si è affacciato il nuovo Governo, come «esecutivo di buona volontà, autonomo non dalla politica ma dalle complicazioni ed esasperazioni di essa, e con l’impegno primario e caratterizzante di affrontare i nodi più allarmanti di una delicata, complessa contingenza». Nel discorso c’è un richiamo ai politici, che non «devono fare gli spettatori, ma attivarsi con l’obbiettivo anche di riscattarsi (…) lasciando per strada la lotta guerreggiata sotto mentite spoglie, la denigrazione sistematica, le polemiche esasperate e inconcludenti».
Si affronta anche la questione dell’evasione fiscale («Evadere le tasse è peccato»), con un accenno al tema dell’Ici: la Chiesa, scrive Bagnasco, «non chiede trattamenti particolari, ma semplicemente di aver applicate a sé, per gli immobili utilizzati per servizi, le norme che regolano il no profit». Le polemiche di questi mesi finiscono «per far sorgere sospetti inutili» e per «infirmare il diritto dei poveri di potersi fidare di chi li aiuta».
Ai cittadini Bagnasco chiede lo sforzo di scorgere tutto il positivo che può annidarsi in una situazione ingrata. «Urge superare il risentimento che qua e là affiora». Del resto situazioni inique sono sotto gli occhi di tutti e non da poco tempo: i giovani senza opportunità, lavoro i servizi sociali centellinati… Per contro, esiste un fitto tessuto di privato-sociale che copre tante esigenze sul territorio. E qui la Prolusione elenca i servizi socio-sanitari di ispirazione cristiana sparsi nella penisola. Le richieste di aiuto sono in aumento e per coprire i bisogni, confida il cardinale, si fa conto anzitutto sulla Provvidenza. Infine un riferimento alla famiglia, il «bene per eccellenza», oggi più vulnerabile e quindi più bisognose di sostegno con politiche forti, dirette ed efficaci, compreso il diritto a riunirsi la domenica senza sottostare alle leggi del merato che impongono il lavoro domenicale.