Abbiamo pensato di ricordare il Cardinale Carlo Maria Martini con una riflessione a cura di Pier Francesco Bruni: un uomo di Cultura, dono per l’Italia che legge. Pensiamo che sia il modo migliore per ricordare un uomo dotato di estrema intelligenza e sensibilità, una colonna del cristianesimo moderno.
“La Fondazione Paolo di Tarso – dice il Responsabile dei Rapporti Istituzionali e Area Progetti Dott. Fabio Gallo – e’ profondamente addolorata per la scomparsa del Cardinale Martini pilastro della Chiesa Ambrosiana ed Europea ed e’ riconoscente per l’insegnamento del significato autentico del rapporto e reciprocita’ tra Bellezza e Bonta’, in occasione dell’organizzazione dei grandi eventi del Giubileo del 2000 e della ricorrenza dei 25 anni di Pontificato di Sua Santita’ Giovanni Paolo II, tra le esperienze piu’ esaustive confluite nella Fondazione”. Il Vaticanese.it
IL DRAMMA DELLA FEDE DI FRONTE A GESU’
Un tema che più volte Carlo Maria Martini ha proposto come lettura della nostra esistenza. Avevo avuto modo di conoscere il Cardinale Carlo Maria Martini. Aveva una marcata sensibilità per il concetto di “straniero”. In un convegno su cultura e stranieri ci fu un suo limpido intervento che mi accompagnò e mi accompagna nei miei studi sulle etnie. Era il2001, a Cesano Maderno, nel convegno: “Integrazione e integralismi. La via del dialogo è possibile?”.
“La letteratura, la parola, la scrittura costituivano elementi di comprensione in una dimensione etno – antropologica. Nella sua singolare visione del rapporto tra fede, mistero, vita, popoli c’era sempre un disegno che superava il senso ontologico della misericordia.
Carlo Maria Martini era nato il 15 febbraio del 1927. Nel suo dialogare non ti lasciava con delle risposte ma si poneva con una premessa di fondo che rispondeva ad una riflessione metafisica: Cosa vuoi farne della fede? Quando mi disse di aver letto un mio antico saggio sulla “Simbologia del sacro nella letteratura” mi lasciò con una domanda che sottolineava il tema del rapporto tra la parola e la teologia del linguaggio tra le civiltà.
Mi disse: “La letteratura vive di sacro perché l’umanità della parola è nel Cristo rivelante. Per questo il suo saggio scava scava scava non solo nelle anime ma anche nella memoria della salvezza”.
Ricordo bene. Tre volte quello “scavare”. Poi ebbi modo di dialogare brevemente in occasione del mio “Canto di Requiem”, il mio lungo poemetto dedicato a Giovanni Paolo II e mi invitò a definire quel mio scrivere come una unica preghiera ma mi disse anche: “A lei manca non la volontà di pregare, ma di pensare alle sue poesie come se fossero una preghiera costante perché la sua letteratura è una preghiera anche se lei non vuole ammetterlo”. Frasi che mi diedero un tremore. Poi sono rimaste cesellate nella mia anima. Continuo nel tentativo di legare la poesia alla preghiera.
Il Cardinale Martini ha sempre usato un linguaggio elegante. I suoi libri sono un pensare nel pensiero. Le sue riflessioni, sino a quella di queste ore, che certamente farà discutere, riguardante l’accanimento terapeutico o meno.
Su questo non mi trova concorde. Non mi ha trovato vicino tempo fa e tanto meno oggi. Penso a Martini non solo come uomo di chiesa. Ma come uomo di fede, come uomo in Cristo e “scavando”, proprio come egli mi suggeriva, nei suoi testi e nella sua presenza nella cristianità non posso fare a meno di legare le sue parole, su questo tema, che non condivido, al senso del Mistero, alla certezza del Miracolo, allo sguardo della Grazia.
Siamo in Cristo non con il corpo, soltanto, ma vi restiamo con l’anima. E per un cristiano l’anima non ha esilio e tanto meno debolezza ma speranza.
In quell’incontro del 2001 il Cardinale Martini parlò del rapporto tra lo straniero ela Bibbia. Annotaiun concetto: “Davverola Bibbiaci pone davanti a un grande messaggio che sentiamo tanto lontano dai nostri comportamenti, dalle nostre capacità. Ci fa comprendere che la morte di Gesù in croce abbatte ogni frontiera e ci fa membri di un’umanità che trova la sua unità in Cristo. E lo Spirito del Risorto suscita in ogni credente il carisma della accoglienza. Dobbiamo sentire che, sospinti da questa forza, noi possiamo aprirci alla scoperta di Cristo nello straniero che bussa alla nostra porta. Abbiamo tanti motivi, umani e civili, per accogliere lo straniero, motivi a cui forse pensiamo poco e che sono certamente molto esigenti e radicali”.
Sono passati anni. Ma questo concetto resta una sottolineatura che non dimentico. Io non raccolgo il pensiero dell’eutanasia ma il monito della preghiera certamente. Pregare in Cristo per uscire dall’esilio dell’anima.
Uno dei suoi ultimi libri che rileggo spesso è “Le ali della libertà. L’uomo in ricerca e la scelta della fede. Meditazioni sulla Lettera ai Romani”, del 2009. Perché? Perché il legame tra perdono e misericordia resta centrale e la figura del Paolo viaggiatore ricercante in misterioso cammino è il mio Paolo.
Il Paolo del Mistero. Il Paolo che non concede voce al concetto dell’eutanasia. Ma perché proprio sul filo dell’orizzonte con l’infinito Carlo Maria Martini ci ha toccato con la riflessione sulla morte senza toccare la “miracolizzazione”? Eppure in “Le tenebre e la luce” (2007) aveva scritto che soltanto nel Mistero è immersa tutta la storia degli uomini e vi “trova vita” compresa “la quotidianità di ogni persona”?
A cura di Pierfranco Bruni