A cura di Mons. Giuseppe Mani /
Dopo la morte di don Enrico e di don Ennio è arrivata anche quella di Don Giovanni e così si è trasferita in cielo , oserei dire, la dinastia dei parroci di Casalbertone. Appresa la notizia, stamani ,di buon mattino, mi son recato a via Cernaia e sono stato il primo a celebrare la Messa per Lui nella Sua casa, con le sue suore. Era ancora sul letto dove si era addormentato, vestito da messa come un semplice prete, con la mitria sui piedi, sembrava che dicesse: ricordatemi così: un prete romano. Ci teneva particolarmente a questo titolo che si era dato e che cercava di realizzare pur rimanendo sempre un piemontese, certamente romano di adozione e di educazione.
Per quattro volte sono stato suo successore: a Casalbertone, come viceparroco e dove aleggiava lo stile di don Giovanni, al Seminario Romano Maggiore come direttore Spirituale, nel settore est di Roma come Vescovo ausiliare, e a Cagliari come Arcivescovo. Quando presi possesso della diocesi di Cagliari venne ad accogliermi e mi stava aspettando col clero alla porta della Cattedrale e abbracciandolo dissi “così finisce l’incubo Canestri”. Mi diede un piccolo schiaffo e si mise a ridere, più volte mi disse “Ringrazia Dio che ti hanno mandato a Cagliari”.
Era un vero pastore tutto dedito alle anime. Più volte mi ricordava che quando era viceparroco a San Giovanni Batt. De’ Rossi il Parroco Jurilli non permetteva ai vice parroci, durante il giorno ,di salire al primo piano della canonica, sempre a disposizione di tutti e in piena attività.
Attivissimo, non era uno sfaccendone ma tutto programmava con precisione e doveva rientrare nel piano organico della pastorale . la sua casa era piena di libri sia di teologia che di letteratura e amava citare nelle prediche le sue ultime letture.
Fu duro lasciare la Parrocchia di Casalbertone per fare il Direttore spirituale in Seminario, si sentiva chiuso in una gabbia eppure anche lì si impegnò profondamente con una programmazione che era diventata proverbiale. Il nuovo stile di vita compromise anche la sua salute che riprese in pieno quando, a seguito della ristrutturazione della diocesi di Roma, gli fu affidato il settore est come vescovo ausiliare del card. Luigi Traglia che ha sempre considerato non soltanto il Padre del Suo sacerdozio ma anche un vero maestro di vita. Dopo Roma fece la breve esperienza come vescovo di Tortona dove mi invitava a tenere ritiri ed incontri al giovane clero ed ebbi occasione di vedere l’amore e l’attenzione con cui seguiva i suoi preti.
Dopo Tortona tornò a Roma come Vicegerente insieme al Cardinale Vicario Poletti, piemontesi tutti e due ma diversissimi l’uno dall’altro. Tutti sapevamo quanto divergessero le loro idee sulla impostazione della pastorale pur essendo due veri pastori e credo che la loro convivenza per nove anni sia stata una vera occasione di santificazione per entrambi, certamente esempio per tutti preti di come si può lavorare insieme pur non avendo le stesse idee ma lo stesso amore per anime.
Lasciare Roma per Cagliari fu per lui una vera prova anche perché si dice “A Roma si arriva , da Roma non si parte”. La somatizzazione dello stress ebbe conseguenze serie a livello gastro intestinale da dover prendere possesso della diocesi per procura. Una volta però superata la prova ricordava quei quattro anni di episcopato cagliaritano come i più felici della sua vita episcopale.
Fu scelto dal Papa per succedere al Card. Giuseppe Siri dopo che per quarant’anni era stato Arcivescovo di Genova. Finita l’esperienza Genovese volle tornare nella Sua Roma, nello stesso appartamento abitato da vice gerente dove ieri pomeriggio il Signore lo ha chiamato a se.
Era un uomo vero, tutto sostanza, schivo delle apparenze, sincero, onesto, amava definirsi un galantuomo. Era un uomo di fede, prete e vescovo fino in fondo senza angoli e spazi per interessi diversi dall’unico che era Dio e profondamente appassionato per il Suo Regno. Era ritenuto un conservatore e nella sua Camera da letto ho visto un quadro ,più grande degli altri, con la foto del Suo Padre Spirituale, il Servo di Dio PierCarlo Landucci a cui è stato fedele fin dagli anni del Seminario senza smentirne mai gli insegnamenti anche quando la persona era passata di moda. Son sicuro che era veramente povero senza mai parlare della sua povertà. Misurato nelle parole talvolta sembrava lapidario per esprimere sintesi di una esperienza di vita difficile da smentire.
Lo ricordo con gratitudine e devo confessare che più volte pensando che lavoravo dove aveva lavorato Canestri, il pensiero di lui mi ha sostenuto e incoraggiato. E’ stato un uomo che ha fatto strada.